venerdì 28 febbraio 2025

L'onda

 


Oscillano le barche in rada.


Attendono di riprendere il

largo a caccia di frontiere.


I cigni puliscono le candide

piume e si nutrono di larve

che galleggiano sull’acqua.


L’onda sfiora sassi adagiati

sulla rena levigando la riva

con la carezza delle acque.


Anche il mio cuore oscilla e

non si cura del rosso sangue

che invade le usurate arterie.


               Giuseppe Romano


27/02/2025


L'arte delle origini

 

UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO

MALCESINE – PALAZZO DEI CAPITANI


L’arte delle origini.


Da sempre l’arte, nelle varie declinazioni, ha seguito, passo dopo passo, l’evoluzione del genere umano a testimoniare la crescita della specie, fin dall’età peleolitica.

La lezione odierna, programmata dall’Università del tempo libero, ha come titolo “L’arte delle origini” ed è condotta da Francesco Ferrara che si occupa di storia dell’arte e che ci farà conoscere l’origine dell’arte e l’evoluzione che essa ha avuto nel corso dei millenni dalla comparsa della specie umana sulla nostra Terra.

Il paleolitico, ossia “età della pietra”, è il periodo della Preistoria in cui si sviluppò la tecnologia umana con l’avvento dei primi strumenti in pietra da parte di diverse specie di ominidi. Iniziò circa 2,5 milioni di anni fa e terminò 10.000 anni fa con l’introduzione dell’agricoltura e susseguente cambiamento della condizione sociale della specie.

La scoperta del Fuoco fu il primo elemento per determinare l’arte, consentendo anche il miglioramento del cervello umano che elaborò il concetto dell’immagine. I primitivi, infatti, non pensavano che l’immagine si potesse riprodurre, ma, probabilmente in modo casuale, scoprirono che l’immagine di una mano insanguinata poggiata su un muro rimaneva fissata o che una impronta di piede rimaneva sul fango che si essicava.

Il Prof. Ferrara ha focalizzato questa lezione su alcune grotte della Francia Meridionale e una della Spagna scoperte nel corso dei tempi: Grotta di Lescaux, Grotta di Cheuvet, Grotta di Pech – Merle in Francia e Grotta di Altemira in Spagna.

Queste grotte, con i loro dipinti, ci narrano la storia dell’uomo fin dai primi passi sulla terra. Gli animali raffigurati sono quelli cacciati per piacere e si scopre che alcuni di quegli animali dipinti sono, probabilmente estinti. Possiamo notare che, a livello di rappresentazione, c’è prospettiva, persa nel tempo e poi riscoperta con Giotto nel Rinascimento. Oggetto di visite turistiche, per evitarne il deterioramento, sono state fatte delle copie dei dipinti, con la conseguente chiusura delle grotte.

Disegni di cavalli, rinoceronti, altri animali del tempo, come per magia, gli autori visualizzavano immagini con due colori e con la tecnica dello sfumato, senza sapere perché era nata in loro la voglia di dipingere sulle pareti le immagini esclusive degli animali, omettendo di dipingere l’uomo che resta assente da questo racconto, per essere raffigurato solo dopo migliaia di anni.

Si presume che autore dei dipinti possa essere stato uno sciamano, anche se, da una attenta analisi, emerge poi la mano di diversi autori, con la constatazione che le bellissime immagini sono tutte ben proporzionate e disegnate come realmente viste.

Da sottolineare che tutte queste grotte sono state scoperte casualmente e successive ricerche hanno consentito di conoscere la bellezza delle opere dipinte sulle pareti e la storia di una era geologica che, altrimenti, non sarebbe stata conosciuta ed interpretata.

La grotta di Altamira, ubicata nel nord della Spgna, è una caverna spagnola famosa per le pitture parietali del Paleolitico superiore raffiguranti mammiferi selvatici e mani umane.

Saccheggiata, delle figure disegnate, da autori che hanno raggiunto fama mondiale (es. Picasso), è denominata la Sistinta della preistora per la predominanza del rosso nelle sue figure. Fu scoperta casualmente da un cacciatore locale (Modesto Cubillas), che informò Marcelino Sanz de Santuola che era uno studioso di preistoria. A seguito di visite successive, la figlia notò alcuni disegni di bufali sulla volta della caverna, con il necessario approfondimento di quanto scoperto e la logica conclusione che si trattava di pitture ruprestri paleolitiche.

Come si può evincere, la scoperta di queste grotte sono servite a “narrare” la storia del periodo paleolitico, ma è stata la nascita della scrittura ad arricchire la storia successiva dell’uomo. La data dell’invenzione della scrittura è convenzionalmente fissata intorno al 3200 – 3100 a.C. con l’uso di tavolette, contenenti numeri e ideogrammi, trovate nella grande città mesopotamica di Uruk (Iraq) e a Susa (Iran sud-occidentale).

Necessità commerciali sono state le cause dei primi movimenti di scrittura poiché nell’era neolitica gli umani escono dalle grotte e iniziano a costruire le capanne, trasformandosi in agricoltori, con la necessità di vivere in diverse capanne e formando i villaggi. La società si trasforma, con la realizzazione di utensili e vasi che decorano e cresce la necessità di comunicare e scambiare merci, utilizzando simboli per identificare i prodotti oggetto di scambio.

Maestri di queste tecniche gli Egizi ed i Sumeri con i geroglifici.

Dopo la “Scrittura” nasce la “Letteratura”, con un popolo (I Greci) che ha fatto della Letteratura un mezzo per trasmettere l’arte, raccontando anche la storia dei popoli.

Col trascorrere del tempo (300 d. C.) abbiamo il Mosaico, le sculture greche (Es. I bronzi di Riace – Magna Grecia), la pittura romana.

Dopo l’anno 1000, successivo ad un periodo di oblio, risorge la pittura con, in Italia, i capolavori che tutto il mondo ci invidia.


I nostri occhi sono rimasti incantati nello scoprire le meraviglie che lo storico d’arte Francesco Ferrara ci ha presentato, con un grazie speciale all’Università del tempo libero che ha inserito la lezione nel programma dell’anno accademico.

                                                                                              Giuseppe Romano

Malcesine, 26 Febbraio 2025

domenica 23 febbraio 2025

Mantenere la giovinezza negli anni

 

UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO

MALCESINE – PALAZZO DEI CAPITANI


Mantenere la giovinezza negli anni.


Il tema trattato questa sera è indirizzato alle persone che hanno raggiunto un’età che è stata sempre fonte di riflessioni, amnesie, ricordi, rimpianti: la cosiddetta terza età.

Relatore il Prof. Gaetano Zavateri, già Primario di Geriatria dell'Ospedale di Borgo Trento di Verona, che, con competenza e con sottile ironia, ci guida verso un percorso da seguire per consentire il cammino terreno con il giusto equilibrio fisico e intellettivo, mantenendo la giovinezza nell’età avanzata.

Fattore necessario per il Prof. Zavatieri è l’educazione alla vita. La nostra vita è un filo che parte dalla nascita fino all’invecchiamento. Ci accorgiamo di ciò un giorno dopo l’altro, e non esistono malattie della vecchiaia, bensì nella vecchiaia.

Bisogna educarsi da giovani per conservarsi da vecchi, tenendo conto che il nostro orologio biologico è di 120 anni circa ed il progresso fa sì che l’età avanzi.

Ogni persona, poi, è unica e tutti abbiamo il dovere di andare avanti in salute in quanto lo star bene è sintomo di un equilibrio interiore.

Da considerare anche diversi fattori:

1) Bisogna che ognuno di noi abbia genitori vissuti a lungo ed in salute (eredità genetica).

2) Evitare che a ciascuno di noi succeda lo stesso che ai genitori (Prevenzione).

Cercare di avere una alimentazione adeguata ed equilibrata, con proteine e zuccheri, fin da giovani, evitando cibi ingrassanti per prevenire malattie, cambiando la quantità dell’alimentazione anche in funzione del tipo di lavoro che ciascuno di noi fa.

3) Consigliabile avere sempre una attività intellettuale, tenendo presente che l’apprendimento c’è in ogni età; cambia solo il modo di apprendere.

La persona apprende ogni giorno, ma deve essere messo nelle condizioni migliori soprattutto se è interessato ad apprendere. Ovviamente sono necessarie delle regole da seguire a seconda dell’età di chi è interessato ad apprendere.

Da evidenziare che tutti abbiamo il diritto di vivere a qualsiasi età nel migliore dei modi e, pertanto, sono necessari stimoli al cervello per farlo funzionare.

Uno degli stimoli che aiuta il cervello a funzionare è avere l’amore come elemento fondamentale della vita. E’ importante voler bene alla vita per essere felici. sentirsi amati e sentirsi utili anche agli altri.

Importante avere sempre una attività fisica, con ponderatezza, per tenere il corpo in efficienza, muoversi, passeggiare e sentirsi in salute.

Muoversi e socializzare evita la depressione e ci si mantiene in movimento favorendo il buon invecchiamento.

Evitare fumo, alcol, droghe: il fumo fa male e non favorisce la migliore condizione fisica, l’alcol non fa male se introdotto nelle giuste quantità e fa male se ne facciamo abuso, adottando il buonsenso per evitare cattive conseguenze, le droghe si debbono evitare perché è noto a tutti le nefande conseguenze che ne determinano l’assunzione.

Occorre sottoporsi a controlli periodici della propria salute per prevenire malattie anche di natura genetica, pur essendo consapevoli che la sanità pubblica non aiuta, per i tempi lunghi di attesa nelle strutture pubbliche, a fare gli esami di controllo, costringendo spesso i pazienti a rivolgersi alle strutture private, con dispendio di danaro, creando, di fatto, una selezione fra pazienti ricchi e pazienti poveri.

Proseguendo nell’analisi del tema in argomento, il Dr. Zavateri afferma che, a suo parere, le persone non dovrebbero andare in pensione e dovrebbero continuare a lavorare per sentirsi utili, “costringendo” il cervello a lavorare ancora. Non bisogna, però, sentire il lavoro come obbligo, ma come utile a noi e agli altri dopo la pensione, in presenza, anche, di una tranquillità finanziaria per essere indipendenti anche da questo punto di vista.

Bisogna anche coltivare i sogni, perchè, finché si sogna il futuro, c’è la gioia di vivere, tenendo presente che la giovinezza è uno stato d’animo e non si invecchia per il solo fatto di avere vissuto tanti anni, in quanto si è giovani fino a quando il cuore sogna, mentre non sognare più è sintomo di vecchiaia non solo fisica, ma anche spirituale.

Samuel Ulmann (1840 – 1924), poeta e scrittore americano, ci ha lasciato alcune frasi celebri che sono un compendio di quanto rappresentatoci in questa lezione sul mantenere la giovinezza negli anni:

- La gioventù non è un periodo della vita, è un fatto di volontà, forza di fantasia.

- Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali.

- Gli anni possono far venire le rughe alla pelle, ma la rinuncia agli entusiasmi riempie di rughe l’anima.

- Quando il vostro spirito è coperto dalla neve del cinismo e dal ghiaccio del pessimismo, allora siete vecchi, anche a vent’anni.

Queste frasi devono farci meditare e la lezione del Prof. Zavateri è utile a non farci perdere di vista la stella cometa che illumina da sempre la vita dei giovani, ma, soprattutto, dei vecchi che non debbono mai perdere la speranza per un futuro pieno di sogni.


                                                                                                     Giuseppe Romano

Malcesine, 19 Febbraio 2025

giovedì 13 febbraio 2025

...non al denaro, non all’amore né al cielo: l’ “Antologia di Spoon River” riletta e cantata da Fabrizio de Andrè.

 

UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO

MALCESINE – PALAZZO DEI CAPITANI


...non al denaro, non all’amore né al cielo: l’ “Antologia di Spoon River” riletta e cantata da Fabrizio de Andrè.


La lezione odierna all’ “Università del tempo libero” coinvolge i sentimenti e la passione con l’ “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, rivisitata e cantata dall’immenso Fabrizio de Andrè.

Relatore il Prof. Gabriele Nascimbeni, che insegna italiano, storia e storia dell’arte in Istituti tecnici e professionali e che condivide con i suoi studenti la passione per la musica, il cinema e la lettura.

L’Autore dell’Antologia è un Avvocato di Chicago, Edgar Lee Master, passato alla scrittura e alla poesia, nato a Garnett in Kansas il 23 Agosto 1868, che frequenta la scuola superiore a Lewistown e pubblica i suoi primi testi per il Chicago Daily News. Il paesaggio intorno alla città, il cimitero di Oak Hill ed il vicino fiume Spoon lo ispirano e lo spingono a scrivere poesie, pubblicate poi nell’“Antologia di Spoon River” che, pur consacrandolo autore di fama, sancì la rottura con i suoi concittadini in quanto nei testi ne denuncia debolezze e ipocrisie.

Ogni poesia racconta, infatti, la vita di un personaggio, per un totale di 244 personaggi, che coprono tutte le categorie e i mestieri umani e molti di loro, ancora in vita, si sentirono offesi nel vedere le loro faccende private pubblicate nelle poesie.

La pubblicazione in Italia dell’Antologia di Spoon River ha un percorso travagliato, perché durante il ventennio fascista la letteratura delle democrazie plutocratiche, compresa quella americana, era osteggiata dal regime, in particolare se esprimeva idee libertarie come in questo caso.

Fernanda Pivano, nata a Genova nel 1917, ma trasferitasi a Torino nel 1929, al liceo classico Massimo d’Azeglio, ha come insegnante Cesare Pavese al quale chiede la differenza che c’è tra la letteratura americana e la letteratura inglese.

L’insegnante le fa conoscere i versi di Edgar Lee Master e Fernanda Piovano se ne innamora immediatamente per la loro scarna semplicità. Per Fernanda è un proprio colpo di fulmine e decide di tradurre il libro in italiano.

Quando Pavese scopre il manoscritto, convince l’editore Einaudi a stamparlo, ma Fernanda Piovano pagherà questa sua traduzione in carcere, per i temi trattati (Pace, guerra, capitalismo), tutti argomenti contrari alle tematiche contrarie al fascismo.


Nel 1971 Fabrizio De Andrè sceglie nove delle 244 poesie trasformandole in canzoni e pubblica l’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, toccando fondamentalmente due grandi temi: l’invidia (Un matto, Un giudice, Un blasfemo, Un malato di cuore) e la scienza (Un medico, Un chimico, Un ottico).

Non al denaro, non all’amore né al cielo” inizia con “La collina”, incipit non solo dell’album ma anche di Spoon River Antology. Si tratta di una traccia che, con una veloce panoramica di personaggi, accoglie il pubblico sulla collina del cimitero di Spoon River, dove si trovano le tombe e gli epitaffi che ne narrano le storie. E’ una introduzione significativa, perché in questa carrellata entrambi gli autori portano in scena chi è scomparso miseramente, dando dignità ai personaggi.

In questi due grandi temi si possono scoprire delle simmetrie: il giudice perseguitato da tutti trasforma la sua invidia in sete di potere e si vendica, il chimico è tanto preso dalla scienza e dalla ricerca di un ordine perfetto da essere incapace di amare, il malato di cuore rappresenta l’alternativa all’invidia, e, pur trovandosi nelle condizioni di dovere essere lui ad invidiare gli altri, con l’amore riesce a vincere l’invidia. I buoni propositi del medico vengono schiacciati dal sistema che lo inducono a essere disonesto, mentre l’ottico vuole trasformare la realtà mostrandoci un’altra realtà più vera.

De Andrè nelle sue canzoni non nomina i personaggi, come fatto da Edgar Lee Master, perché vuole rendere le storie universali e per sottolineare che queste storie sono esempi di comportamenti umani che si possono ritrovare in ogni epoca ed in ogni luogo.

L’unico a cui De Andrè lascia il nome è “Il suonatore Jones” perché rappresenta l’alternativa alla vita vista come lotta per raggiungere i propri scopi. Per Jones, personaggio al quale De Andrè avrebbe voluto assomigliare, la musica non è un mestiere, è una scelta di libertà, senza alcuno scopo di lucro.

Le canzoni dell’album sono scritte da De Andrè insieme a Giuseppe Bentivoglio per quanto riguarda i testi e a Nicola Piovani (ancora giovannissimo) per le musiche; ma, a causa dei sofisticati arrangiamenti, non venivano eseguiti spesso.

In una intervista, Fernanda Piovano afferma la straordinarietà del lavoro di De Andrè che ha praticamente riscritto queste poesie rendendole attuali e con tematiche simili a quelle di Masters legate, ovviamente, ai problemi del suo tempo.


La musica di De Andrè, unica e inimitabile, si è diffusa nel salone di Palazzo dei Capitani che ospita l’Università del tempo libero, lasciando in tutti noi un filo di nostalgia per un autore che, purtroppo, non è più con noi.

                                                                                                   Giuseppe Romano

Malcesine, 12 Febbraio 2025

lunedì 10 febbraio 2025

L'Inferno nell'immaginario di Dante (3^ parte)

 

UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO

MALCESINE – PALAZZO DEI CAPITANI


L’inferno nell’immaginario di Dante (3^ parte)


La Prof.ssa Calzà ci guida, in questo incontro, con la narrazione del viaggio di Dante e Virgilio, che prosiegue attraverso i sentieri oscuri dell’Inferno più profondo.

Attraversato il VI cerchio, giungono al VII, suddiviso in tre gironi, dove incontrano i Violenti.

Nel VII cerchio si accede dopo aver superato i resti di una frana provocata dal terremoto verificatosi alla morte di Cristo. Custode del cerchio è il Minotauro, che rappresenta la “atta bestialità” ovvero la violenza che rende l’uomo simile alle bestie.

Nel primo girone, attraversato dal Flegetonte, fiume di sangue bollente, sono i violenti con il prossimo (predoni e assassini), tormentati dai Centauri che colpiscono le anime con frecce per evitare che possano uscire dal sangue.

Nel secondo sono collocati i suicidi (trasformati in albero per avere rinunciato volontariamente alla loro natura umana), tormentati dalle Arpie, creature mitologiche dal corpo di uccello e dal volto di donna, e gli scialacquatori che in vita distrussero e dilaniarono le loro sostanze. Per questo motivo sono lacerati da cagne fameliche e sono distinti dai prodighi del IV cerchio che non hanno avuto cura di gestire il loro patrimonio, distruggendo se stessi attraverso le proprie sostanze. Tra i suicidi incontrano Pier della Vigna che, entrato nel 1220 alla Corte di Federico II di Svezia con ruoli di assoluto prestigio, viene accusato di tradimento, forse per l’invidia dei cortigiani e per i suoi contatti con il Papa Innocenzo IV, incarcerato e costretto al suicidio per le vessazioni subite.

Nel terzo girone Dante incontra i Bestemmiatori, i Sodomiti e gli Usurai. I Bestemmiatori sono chinati sulla sabbia infuocata, i Sodomiti corrono continuamente sotto il fuoco, gli Usurai sono accovacciati sotto la pioggia di fuoco, con il Minotauro custode dell’intero settimo cerchio.

Il contrappasso ancora una volta si richiama alle pene ordinariamente inflitte, con il rogo posto a simbolo della loro condanna.

Attraversata una ripa scoscesa, Dante e Virgilio giungono all’VIII Cerchio, detto anche Malebolge, riservato ai peccatori di frode, ovvero coloro che hanno imbrogliato chi non si fida.

Il nome di Malebolge deriva dalla forma di tale cerchio, suddiviso in dieci bolge, ovvero fosse concentriche, simili ai fossati che cingono i castelli medievali, separate da argini e attraversati da ponti naturali di pietra che convergono verso il centro del cerchio, occupato da un ampio pozzo, il cui fondo costituisce il nono cerchio. Nell’ottavo cerchio è punita la frode esercitata contro chi non si fida: peccato grave perché si presuppone l’uso della ragione a danno degli altri.

I due pellegrini giungono sul ponte che scavalca la quinta bolgia, straordinariamente buia a causa della pece bollente nella quale sono immersi i barattieri, coloro cioè che fecero commercio dei pubblici uffici. Mentre Dante è intento a guardare in basso, sopraggiunge veloce un diavolo che getta nella pece un dannato che, dopo il tuffo violento, viene a galla, ma i custodi della bolgia, i Malebranche, lo costringono ad immergersi nuovamente.

Virgilio, allora, si dirige verso i diavoli e fa presente al loro capo, Malacoda, che il viaggio suo e del suo discepolo è voluto dal cielo. A questo punto, Malacoda affida loro ad una scorta composta di dieci suoi sottoposti comandati da Barbariccia, consentendo la partenza verso le altre bolgie, con Virgilio che rassicura Dante invitandolo a non avere paura.

Scesi nell’ottava bolgia Dante rivolge una invettiva contro Firenze, avendo visto nella settima bolgia ben cinque ladri, tutti fiorentini. che lo hanno fatto vergognare per la brutta immagine che hanno conferito alla città.

Guardando dall’alto in fondo di questa bolgia vedono che le anime appaiono come dei punti luminosi perchè sono avvolte da fiamme e ognuna di queste fiamme nasconde un’amima.

Una di queste fiamme ha la punta biforcuta e Virgilio spiega a Dante che in quella fiamma sono racchiuse due anime: quella di Ulisse e quella di Diomede. La fiamma giunge vicino a loro e Virgilio chiede ad Ulisse come si è conclusa la sua vita terrena.

Ulisse narra che la sua sete di conoscenze lo conduce, dopo la presa di Troia avvenuta con l’inganno del suo cavallo di legno che ha consentito ai Greci di espugnare la Città, al di là delle Colonne d’Ercole, cioè verso l’ignoto, ma un naufragio porta alla morte lui e il suo equipaggio. Dante, pur sentendosi vicino ad Ulisse come viaggiatore del mondo, lo colloca tra i fraudolenti perché con l’inganno del suo cavallo aveva sconfitto i nemici. Nel suo racconto Ulisse narra dell’incontro con la maga Circe, dell’ira degli dei che ostacolano il suo ritorno ad Itaca, del perenne suo desiderio di conoscere il mondo.

Esaudito in Dante il desiderio di conoscere Ulisse in una visione diversa da quella da tutti nota, i due poeti giungono al IX e ultimo Cerchio dell’Inferno ove sono collocati i Traditori.

E’ costituito dal Lago Cocito, uno dei quattro fiumi infernali sulla cui ghiaccia sono imprigionati i traditori, che agli occhi di Dante sono descritti come i peggiori peccatori.

Al centro di Cocito, che corrisponde al centro della Terra, è confitto, fino alla cintola, Lucifero, intento a maciullare nelle sue tre bocche le anime di Bruto, Cassio e Giuda. Le sue sei ali sbattono e producono un vento gelido, il quale congela le acque del fiume infernale.

Tutt’intorno al demone ci sono le quattro zone del IX Cerchio, che ospitano traditori di diverso tipo e il cui peccato va dal meno al più grave man mano che ci si avvicina a Lucifero. Nella Caina sono puniti i traditori dei parenti, sepolti nel ghiaccio fino al collo e con la testa all’ingiù, nell’Antenora ci sono i traditori della patria (tra loro il conte Ugolino), infine nella Giudecca ci sono i traditori dei benefattori, completamente imprigionati nel ghiaccio.


Dante e Virgilio sono arrivati al fondo dell’Inferno.


Davanti a loro si erge una figura gigantesca e un fortissimo vento freddo e Dante si ripara dietro Virgilio che lo incoraggia a farsi forza. E’ Lucifero con tre teste con le quali mastica i peggiori di tutti i peccatori: Bruto, Cassio e Giuda, traditori di Cesare e Cristo.

A questo punto, Virgilio invita Dante ad aggrapparsi a lui e, tenendolo sulle spalle, inizia una faticosa discesa tra i peli del mostro.
La discesa diventa poi una salita: Dante e Virgilio si sono capovolti poichè sono passati nell’emisfero terrestre opposto.

Senza fermarsi per riposare, i due poeti prendono un nuovo cammino ed escono finalmente sulla superficie terrestre: “E quindi uscimmo a riveder le stelle.”


Il loro viaggio nell’Inferno si è concluso e inizieranno la risalita del monte del Purgatorio.


Si ritiene doveroso ringraziare la Prof.ssa Luciana Calzà che, con la sua straordinaria competenza e passione, ha permesso a tutti i partecipanti alle sue lezioni di “viaggiare” tra gli inferi con due grandi del mondo letterario: Virglio e Dante.


                                                                                          Giuseppe Romano

Malcesine, 5 Febbraio 2025

lunedì 3 febbraio 2025

L'inferno nell'immaginario di Dante (2^ parte)

 

UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO

MALCESINE – PALAZZO DEI CAPITANI


L’inferno nell’immaginario di Dante (2^ parte)


Dopo avere illustrato nelle linee generali il viaggio di Dante all’inferno, la Professoressa Luciana Calzà, in questo nuovo incontro a Palazzo dei Capitani con i partecipanti all’Università del tempo libero, entra nei dettagli per raccontarci “il viaggio” di Dante tra gli inferi.

Nel mezzo del cammin di nostra vita…..”, esordisce il poeta, facendoci intendere che, a metà circa della vita umana (30-35anni), si ritrova in una selva oscura, avendo smarrito la strada diritta, dove incontra tre fiere: la lonza, il leone e la lupa. Non riesce ad andare avanti, ma viene soccorso da Virgilio che lo guiderà in un viaggio attraverso Inferno e Purgatorio, mentre Beatrice lo guiderà in Paradiso.

Attraversano una porta con su scritto:”Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.”, e incontrano gli ignavi (anime che in vita non hanno scelto, né nel bene, né nel male), schierandosi sempre dalla parte del più forte.

Pertanto, Dante li reputa indegni di meritare sia le gioie del Paradiso, che le pene dell'inferno, a causa proprio del loro non schierarsi mai dalla parte del bene o del male.

Proseguendo il loro cammino, si imbattono nel fiume Acheronte e, per attraversarlo, si affidano a Caronte che li traghetta sull’altra sponda. Discendono nel Primo cerchio (Limbo) dove sono collocate le anime dei pagani virtuosi e dei bimbi morti senza battesimo, che non peccarono, ma sono esclusi dalla salvezza: essi non subiscono alcuna pena, ma sono sospesi e vivono nell’inappagabile desiderio di vedere Dio.

Al II° Cerchio Dante colloca i Lussuriosi, cioè coloro che preferirono l’amore carnale rispetto a Dio. La loro pena è stabilita secondo la legge del contrappasso: sono condannati a vivere all'interno di una bufera infernale, così come in vita preferirono la bufera della passione.

All’inizio del Cerchio Dante incontra Minosse, custode di tutte le anime dannate, eccetto degli ignavi e dei virtuosi. Egli avvisa il poeta dei pericoli dell’Inferno e lo consiglia di diffidare di Virgilio che, però, lo zittisce ricordando a Dante che il loro viaggio è fatto per volontà divina.

Tra le anime vi sono, tra le altre, Didone, Cleopatra, Elena, Paride, ma due, tra esse, lo incurioscono e chiede di potere parlare con loro. Sono Paolo e Francesca, amanti-cognati, uccisi per mano del marito di Francesca: Gianciotto, signore di Ravenna.

Nell'episodio infernale è Francesca la sola a parlare, mentre Paolo tace e piange alla fine del racconto della donna. Francesca dapprima si presenta e ricorda l'assassinio subìto ad opera del marito, poi (su richiesta di Dante) spiega la causa del loro peccato, ovvero la lettura del romanzo di Lancillotto e Ginevra che li spinse a intrecciare una relazione amorosa. E mentre leggevano, Paolo, coinvolto in quella storia struggente, la bacia in bocca tremando, non riuscendo più ad andare avanti nella lettura.

Dante, a sentire il racconto, viene preso da pietà e sviene per la commozione.

Riavutosi e ripreso il viaggio, al III° Cerchio trova I Golosi.

Siamo in un ambiente buio, dove cadono grandine, neve e pioggia nera e il terreno puzza. Il guardiano qui è Cerbero, un cane con tre teste, occhi rossi, pelo nero e sporco, pancia enorme, che con gli artigli squarta e scuoia i dannati che urlano e si lamentano. Per oltrepassare Cerbero, Virgilio gli lancia in bocca del fango.

Dante e Virgilio avanzano all’interno del terzo cerchio dove gli spiriti squartati da Cerbero giacciono nel fango sofferenti.

I Golosi sono puniti e dilaniati da Cerbero perché, per la legge del contrappasso, in vita mangiavano troppo. Uno spirito va incontro a Dante e si presenta: era Ciacco di Firenze, noto per la sua golosità. Dante, sentendo che Ciacco era di Firenze, gli chiede notizie della sua città. Ciacco informa Dante che avrebbero vinto i Guelfi Bianchi, ma che successivamente, con l’aiuto di papa Bonifacio, i neri avrebbero avuto il sopravvento; e quasi tutti i cittadini fiorentini sarebbero stati colpiti da superbia, invidia e avarizia. Informa, inoltre, che pur avendo agito per il bene della città, nella loro vita privata si sono macchiati di gravi peccati e sono adesso nei cerchi più bassi dell’Inferno. Infine Ciacco, congedandosi da Dante, lo prega di parlare di lui al ritorno del suo viaggio.

Al IV° Cerchio si incontrano Avari e Prodighi, al V° Iracondi e Accidiosi, quindi si imbattono nelle Mura della Città di Dite.

Le mura della città di Dite racchiudono l’Inferno profondo. Esse rapppresentano la linea di demarcazione tra i peccati di intemperanza singola, personale e quelli ben più gravi di coinvolgimento e portata sociale.

Dite, città immaginaria che Dante descrive nella cantica dell’ Inferno, comprende i cerchi dal sesto al nono cerchio. Si presenta recintata da alte mura collegate da diverse torri ed è circondata dalla palude puzzolente dello Stige; a guardia i diavoli che impediscono a Dante di entrare, acconsentendo di parlare solamente con Virgilio.

Virgilio cerca di scacciare i diavoli, ma è costretto a chiedere l’aiuto della Grazia Divina che invia, in soccorso, un messo celeste.

Superato l’ostacolo dei diavoli, Dante e Virgilio riprendono il viaggio, con Virgilio che rasserena Dante ricordandogli che lui è già sceso in fondo all’Inferno. Dante chiede se le anime del Limbo possono scendere nel Basso Inferno, ma Virgilio risponde che raramente le anime del Limbo scendono giù.

All’improvviso sulle mura della città compaiono le tre furie infernali, le Erinni (Megera, Aletto, Tesifone), mostri dalle sembianze di donna e chiome formate da un intrico di serpenti che, graffiandosi il petto, invocano Medusa, unica mortale delle tre Gorgoni, che rendeva di pietra chi guardava il suo volto.

Medusa personifica la disperazione della salvezza, il peccato massimo che pietrifica l'anima e conduce all'inazione spirituale, precludendo così la via della salvezza.

Lo sguardo di Medusa ha la funzione di inchiodare l'anima al punto in cui è giunta: Virgilio, così, copre gli occhi di Dante perchè Medusa non gli impedisca di proseguire nel cammino della conoscenza del male, che lo porterà alla salvezza.

Entrati nella città di Dite, trovano una grande pianura cosparsa di tombe, tutte aperte e arroventate dalle fiamme. In esse si trovano le anime degli Eretici.

Gli Eretici sono coloro che nella vita si macchiarono del peccato dell’eresia, ovvero andarono contro il dogma della religione. Le tombe scoperchiate permettono ai gemiti e ai lamenti di dolore di disperdersi nell’aria.

Ciò perché non avendo creduto in vita all’immortalità dell’anima ora sono stati condannati a morire continuamente.

I poeti si incamminano lungo un sentiero che corre fra le mura e le tombe infuocate e appare loro Farinata degli Uberti, capo ghibellino, personaggio fiorentino di grande rilievo che contribuì, nel 1248, alla cacciata dei guelfi da Firenze. Ma, quando i guelfi riuscirono a tornare nel 1251, riprese la lotta fra le due fazioni conclusasi con la sconfitta dei ghibellini che furono esiliati.

Farinata degli Uberti andò in esilio a Siena, riorganizzò i ghibellini e li portò alla vittoria di Montaperti nel 1260.

Condannato nel cerchio degli Eretici perché non credeva all’immortalità dell’anima, ma descritto come uomo possente, forte e superiore, incute timore perfino a Dante. Profondamente legato alla politica e al suo paese chiede a Dante il nome della sua famiglia per capire a quale fazione appartenesse,

Dante è inizialmente intimorito da Farinata degli Uberti, pur se appartenente ai ghibellini, ma avendo per lui grande rispetto e ammirazione, considera un privilegio parlargli, pur entrando in conflitto con lui perché appartenene ai ghibellini e, quindi, uomo di parte, entrambi profondamente legati a Firenze.

Dante lo informa della condanna all’esilio permanente dei ghibellini rattristando Farinata degli Uberti e gli chiede di risolvergli un dubbio circa la facoltà dei dannati di prevedere il futuro. Farinata gli spiega che i dannati vedono, sì, il futuro, ma in modo imperfetto, riuscendono a vedere gli eventi solo quando sono molto lontani.

Dopo un po’ Virgilio chiede a Dante la ragione del suo smarrimento e il discepolo svela le sue preoccupazioni. Virgilio rassicura Dante e gli promette che in Paradiso Beatrice gli fornirà ogni spiegazione relativa alla sua vita futura.

Poi si volge a sinistra e lascia le mura per imboccare un sentiero che conduce alla parte esterna del Cerchio, da dove si leva un puzzo estremamente spiacevole.

Con la Prof.ssa Calzà continueremo il viaggio di Dante e Virgilio per scoprire storie ed eventi che ci faranno conoscere l’Inferno nell’immaginario di Dante.

                                                                                             Giuseppe Romano

Malcesine, 29 Gennaio 2025

sabato 1 febbraio 2025

L'inferno nell'immaginario di Dante (1^ Parte)

UNIVERSITA’ DEL TEMPO LIBERO

MALCESINE – PALAZZO DEI CAPITANI


L’inferno nell’immaginario di Dante (1^ parte)


    Nell’incontro precedente la Professoressa Luciana Calzà ci aveva “presentato” la vita di Dante Alighieri in tutte le sue sfaccettature: privata, politica, artistica, anticipandoci l’argomento successivo che avrebbe trattato: la Divina Commedia, cioè l’opera nota in tutto il mondo, vanto della cultura italiana.

    Il percorso iniziato nella scorsa lezione prosegue, pertanto, nella introduzione dell’Inferno.

    Dante presta attenzione al significato dei numeri: non a caso le terzine dell’opera sono 14223, un multiplo di 3.

     E’ ovvio che Dante si basa sulle teorie tolemaiche.

    In questa concezione la Terra si trova al centro dell’universo ed attorno ad essa ruotano il Sole, la luna e gli altri pianeti. I confini del mondo conosciuto erano: le colonne d’Ercole, a nord le regioni fredde delle tundre, ad est i monti Urali, a sud il deserto del Sahara. Lucifero è collocato alla fine della voragine che si apre sotto la città di Gerusalemme: sotto la crosta terrestre si trova la porta dell’inferno.

    L’inferno inizia esattamente dopo l’attraversamento del fiume Acheronte.

    Questo confine fisico serve a Dante per dividere il mondo dei morti da quello dei vivi. Sulla riva del fiume si intravedono le prime anime: sono riconoscibili come entità, ma trasparenti. Sono prive di materia e sono gli ignavi che, in vita, non hanno saputo fare delle scelte. Poichè per Dante è fondamentale che l’uomo faccia delle scelte, gli ignavi vengono condannati all’antinferno.

   Attraversato il fiume Acheronte, Dante e Virgilio approdano nel Primo Cerchio: Il Limbo dove si trovano le anime nate prima di Cristo.

    Proseguendo il cammino incontra gli Incontinenti: coloro, cioè che in vita non sono riusciti a contenere i loro istinti. Tra questi vi troviamo, in ordine procedendo verso il basso : lussuriosi, golosi, avari, iracondi ed accidiosi. Segue un precipizio e nel VI colloca gli eretici. Il settimo cerchio è dedicato ai violenti: contro il prossimo, contro se stessi e contro Dio. Nell’ordine verso il basso. a seguire i fraudolenti organizzati nelle bolgie. Successivamente i traditori: dei parenti, della patria, dei benefattori, degli ospiti.

   Nel fondo, conficcato nel ghiaccio vi è Lucifero.

   Il Purgatorio è l’unico regno che ha una durata temporale, è un luogo fisico. Esso è stato formato dalla terra che è stata spostata da Lucifero man mano che precipitava e creava la voragine. Nel purgatorio tutte le anime sono destinate alla salvezza: il tempo di permanenza delle anime in questa regione dipende dal tipo di peccato commesso.      Quando ci sarà il giudizio universale il Purgatorio scomparirà.

   Cosa c’è dopo la morte?

    Questa è la domanda che tutti noi ci poniamo e che Dante si è posto a suo tempo e prova a dare una risposta nell’opera da lui composta.

   Cronologia del viaggio dantesco:

   Dante è il protagonista del viaggio e al tempo stesso autore del viaggio. Inizia a scrivere nel 1304, ma nel racconto narra che il viaggio inizia nel 1300, anno del giubileo, scegliendo proprio la settimana santa di quell’anno.

I quattro sensi della scrittura dantesca:

1. Letterale : viaggio nell’aldilà;

2. Allegorico : percorso dell’anima;

3. Morale : per indicare dei principi;

4. Analogico : citazione bibliche e simbologia.

Dante e la fede:

   La sua fede passa attraverso la ragione. Si basa sulla scuola di S. Tommaso. La ragione e la fede sono due tematiche molto ricorrenti nel testo della Divina Commedia: secondo Dante è attraverso la ragione che si giunge alla fede.

Simbolismo numerico:

3: indica la trinità.

1: unità di Dio.

10: il numero dei comandamenti affidati a Mosè sul monte Sinai.

6: tema politico.

   La terzina dantesca: tre versi da undici endecasillabi legati da rima incatenata.

   La rima incatenata conduce il lettore sempre più avanti nella lettura.

Canto I°:

è il viaggio di tutta l’umanità e dei principi che dobbiamo adottare per non andare all’inferno.

L’incontro con le tre belve:

la lonza rappresenta la lussuria, il leone la superbia e la lupa la cupidigia. Sono i tre peccati che affliggono la città di Firenze.

Virgilio si offre come guida:

Ma perché Dante sceglie il poeta nato prima di Cristo?

   Nel Medioevo i monaci amanuensi trascrivevano le Bucoliche di Virgilio che erano diventate in quel periodo una tradizione medievale. Le Bucoliche fanno riferimento al periodo storico di Augusto. Inoltre, anche Virgilio, con la sua Eneide, aveva fatto compiere un viaggio negli inferi al protagonista della sua opera.

    Per queste ragioni Dante era molto legato al poeta latinoVirgilio. Anche Omero nella sua Odissea fa compiere un viaggio nell’aldilà al protagonista: la tematica dell’oltretomba è comune a molti scrittori e poeti.

   Secondo Dante la poesia nasce dal passato e dai grandi poeti latini e giunge fino ai suoi tempi. Egli si sente, infatti, di appartenere al gruppo dei poeti latini e, come loro, invoca le muse.

      Muse e memoria: Dante ci fa entrare nel meccanismo della memoria.

spero di ricordarmi tutto per poter ricordare”.

Enea e S. Paolo sono gli unici che hanno già compiuto il viaggio nell’oltretomba.

   L’oltretomba incuriosisce perché parlando con le anime defunte le si può interrogare sul futuro.

Canto III:

   Gli ignavi: non sono stati in grado di scegliere in vita, sono condannati ad esser puniti per l’eternità da vespe e mosconi.

   Gustavo Dorè: incisore di tutta la Divina Commedia.

   Legge del contrappasso: le pene vengono attribuite secondo un nesso logico tra il peccato che è stato commesso in modo analogo o opposto.

   Sulla porta dell’inferno c’è un cartello che giustifica la presenza dell’inferno stesso.

   Il linguaggio di Dante è molto concreto per dare consistenza fisica alle anime descritte. Secondo Dante gli ignavi non hanno speranza di morte: chi non sceglie è fortemente punito dal poeta.

Caronte: questa figura è molto simile a quella di Enea ( vv 82-99).

Altra similitudine con Ungaretti - luglio 1918 “ I soldati”.

   La caducità delle foglie di Ungaretti corrisponde alla caducità delle anime ignave.

   Corrispondenze? Plagi? Semplicemente sono delle immagini poetiche che trasversalmente attraversano il tempo e giungono fino ai nostri tempi.

Canto IV:

    Limbo: In questo luogo Dante vi colloca tutti i nati prima di Cristo. Dai grandi poeti del passato, fino ai filosofi, passando per i nati non battezzati e personaggi che si sono distinti per le loro capacità, Dante immagina che venissero richiamati da Gesù stesso e graziati. La loro unica colpa è di essere nati prima della venuta di Cristo.

    A grandi linee la Prof.ssa Calzà ci ha presentato il viaggio fra gli inferi di Dante, accompagnato da Virgilio.

    Incontrerà personaggi politici a lui noti, ma anche anime che sono state condannate all’inferno per avere vissuto l’amore e la passione in adulterio (Paolo e Francesca).

    Ci immergeremo in un viaggio misterioso ed intrigante che ci farà pensare e meditare su quell’affascinante mistero che è la nostra vita. 

 

                                                                                                       Giuseppe Romano

 

 

Un ringraziamento particolare

alla Prof.ssa Nelly Valenti per

la sua preziosa collaborazione.

 

        Malcesine, 22 Gennaio 2025

 

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