Cosa ci faccio io quassù,
a patire freddo e solitudine
non scelti, ma imposti, per
vagheggiare gloria e incenso
di incorporei traghettatori?
Ho già patito il Golgota,
l’arroganza di Pilato, i chiodi
per fissare i miei arti incatenati.
Non basterà il gelo a obliare
le pene che ho subito, né
contemplare il lago da lontano
per perdonare, cheto, la superbia.
Il vento colpirà le mie carni
con imperterrita violenza,
lacerando ancora e ancora
il cuore trapassato dalla lancia.
Il popolo perplesso, deputato a
raccogliere le foglie già cadute,
inseguirà la barca, con le vele
tese e la croce ostile abbandonata.
Giuseppe Romano
4/01/2021
1 commento:
tenue e malinconica. l ho letta volentieri, mi è piaciuta.
Posta un commento