giovedì 31 dicembre 2020

Dimenticare

 


I monti innevati.

Le strade deserte.

Il mare sconvolto.

Relitti di barche.


La terra che trema

per chiudere atomi

colpiti in un giorno

qualunque d’inverno.


Fugge via come ladro

questo anno pomposo

che aveva promesso

fasti e luci spocchiose.


In religioso silenzio,

il nuovo che avanza

bussa alle porte di un

cadùco mondo stizzito.


             Giuseppe Romano


31/12/2020

mercoledì 30 dicembre 2020

Un augurio per il 2021

 

Ancora un giorno e questo tragico 2020 sarà un ricordo, un brutto ricordo con il fardello del Covid che ha seminato, morti, terremoti, tragedie economiche. Non basteranno gli incentivi vari a ristorarci ed a tornare come eravamo. E' triste, ma è la realtà. Nonostante gli incoraggiamenti, non potremo dimenticare le rinunce, gli amici abbandonati. i viaggi non fatti, gli sguardi degli intimi non incrociati. E quella nostalgia per i calici lasciati a poltrire dentro le vetrine. Un anno che ci ha obbligato a stare prigionieri ed immobili come un atleta che, a causa di un grave infortunio è stato costretto a rimanere inattivo. immobile. Il nuovo anno dovrà aiutarci a risollevarci, con la speranza che il vaccino possa aiutarci a ricominciare a vivere, a riprendere le relazioni abbandonate, a rivedere gli sguardi dei nipoti che rivivono nei loro occhi il nostro passato ed il loro futuro. Il 2021 dovrà essere un forte solaio che serva a tenerci solidalmente in vita per ricominciare il cammino interrotto con l'avvento del Covid. Dovrà essere un post 1945, una ricostruzione che ci aiuti a risollevarci dal pantano nel quale ci siamo ritrovati senza averne colpa. Dovremo rispettare le regole per non ricadere nel buio, alla scoperta della fine del tunnel, della luce oltre il buio, degli abbracci e della rinascita. A tutti gli abitanti della Terra un augurio speciale per il 2021, con un pensiero speciale alla gente di Croazia che, proprio allo spirare dell'anno 2020, è stata colpita dal terremoto. I tormenti ci colpiscono, ma ne usciremo vincitori.
 
          Tormenti
 
Con il sole che splende,
non colgo nubi nel cielo,
anche se il gelo ci cinge
per la neve sui monti ed
il vento che frusta le gote.
 
L’anima trascina la solitudine,
scippata dal respiro dell’altro,
compagno di viaggio in un
treno che arresterà la sua corsa,
senza nemmeno preannunciare.
 
Non odo bambini in giardino.
 
La paura li ha fatti zittire e
le mamme, giunte le mani,
pregano il Dio salvatore.
 
Il letto del fiume accoglie le acque
impetuose, infrangendo il silenzio
imposto dall’alto per tacitare tormenti.
 
                      Giuseppe Romano
 
26/12/2020

sabato 26 dicembre 2020

Tormenti

 


Con il sole che splende,

non colgo nubi nel cielo,

anche se il gelo ci cinge

per la neve sui monti ed

il vento che frusta le gote.


L’anima trascina la solitudine,

scippata dal respiro dell’altro,

compagno di viaggio in un

treno che arresterà la sua corsa,

senza nemmeno preannunciare.


Non odo bambini in giardino.


La paura li ha fatti zittire e

le mamme, giunte le mani,

pregano il Dio salvatore.


Il letto del fiume accoglie le acque

impetuose, infrangendo il silenzio

imposto dall’alto per tacitare tormenti.


                              Giuseppe Romano


26/12/2020


lunedì 21 dicembre 2020

Ringraziamento di Francesco Federico

 Grazie, gentile e caro amico poeta Pino Romano, per le tue riflessioni che ulteriormente mi invitano a scrivere sugli affetti umani e sulla storia millenaria siciliana, che appartiene a tutti i popoli che bussano alla nostra coscienza troppo spesso intorpidita dal consumismo odierno. Grazie, e auguri per il Santo Natale, che torna ad illuminare la nostra esistenza. 

Da Palermo, Franceso Federico 

21/12/2020

sabato 19 dicembre 2020

Smarrimento

 

Abbiamo smesso di piangere.


Esaurite le lacrime amare.


Solo silenzi circuiscono clessidre

per pesare ore contigue alla notte.


                                                  Avviso, all’orizzonte, nuvole tetre,

                                                   con masse scomposte a marcire,

                                                   vecchi condannati a morire, vite

                                                   irregolari di un tempo abbattute.

 

                                                  Litanie, imploranti il Dio del perdono,

                                                   inondano altari già ricoperti di cenere.

 

                                                   Nel buio d’una bettola, gli dei dell’olimpo

                                                     pronti a spartirsi le vesti e la tunica a sorte.

                                                                                

                                                                              Giuseppe Romano


               19/12/2020

giovedì 17 dicembre 2020

Alcune note su: Il silenzio del cielo di Francesco Federico

 


Francesco Federico, poeta siciliano sensibile e illuminato, è autore di numerosi testi poetici e racconti, nonché di saggi letterari e di studi critici sull’arte.

Il silenzio del cielo è l’ultimo romanzo pubblicato (Hedizioni Elicon – Arezzo - 2020) ed è stato scritto e riscritto, come dall’autore affermato, tra il gennaio ed il maggio del 2020 in pieno periodo di pandemia da coronavirus, che sta flagellando il mondo intero, con la dipardita di migliaia di affetti cari, portati a seppellire in solitudine, nel silenzio, senza il conforto dei familiari.

E’ con questo spirito che Federico affronta questa ultima sua fatica, nel ricordo dei genitori che, nel tempo, lo hanno lasciato perché “in altra dimora” e nel desiderio di continuare il filo che ha sempre unito la sua famiglia, materna e paterna, nel tempo.

E lo fa peregrinando per la Città di Palermo, suo luogo di nascita, attraverso gli angoli che gli sono più cari e che lo hanno visto protagonista della sua infanzia, con i nomi delle vie che ricordano i nomi illustri di letterari e scienziati che hanno dato lustro alla storia antica e moderna (da Archimede, a Dante, a Emanuele Notarbartolo), nella lucidità di una logica sempre precisa e mirata all’amore per la sua famiglia che amorevolmente lo ha allevato.

Leggendo le sue parole, per me che vivo lontano dalla mia terra, lontananza scelta per amore ed in piena libertà, rivivono le strade e gli angoli di Palermo, con i suoi sapori e profumi, le bellezze artistiche, le suggestioni, con l’amore per la Cala ed il Monte Pellegrino e la Santuzza che domina e protegge Palermo.

Un viaggio che non nasconde nulla, anzi va alla ricerca di luoghi e volti che lo possano aiutare a rivivere attimi felici, ma anche dolorosi della sua esistenza, con il rafforzamento dell’amore verso i cugini che lo amano di un amore viscerale e con l’accoglienza di nuovi e vecchi amici che lo coinvolgono nelle loro vicende artistiche.

Un racconto che ho letto d’un fiato perché scorrevole, ma colto, con citazioni storiche ed artistiche che sono proprie di Francesco Federico, con una chiusa finale, bellissima, dedicata alla madre il giorno successivo alla sua morte: “In questa notte/di gelido inverno/ ti ho vista/ con la tua luce/ dinanzi al mio letto/ scomodo./ Tu proteggevi/ il mio respiro.”

                                                                                            Giuseppe Romano

  Malcesine (VR), 17/12/2020

venerdì 11 dicembre 2020

Cani legati

 


Cani legati


Non vedo cani per le strade.


Legati tutti alle gambe del padrone.


Girano il capo per non fissare il Mose,

lasciato a riposare, e i mendicanti, tesa

nella mano, che attendono il domani.


Rimane alta l’acqua, col povero che sniffa

il fumo dell’arrosto apprestato nel giardino.


Sulla collina il padreterno dispensa rosari

agli indigenti, colpendo a caso, fiducioso

di ascesa in paradiso dall’ingresso basilare.


I morti, orbi di replicanti, seguitano il viaggio

in terza classe, con il teatro vuoto ed i vecchi

serrati nelle case, sollevati da virologi saccenti,

detentori di massime infallibili e arroganti.


Priva di venti, la terra cinge gli influssi lunari e

muta stagioni a piacimento, ricordando che

la neve, d’inverno, ammantava le montagne.


Anche Pablito decide di migrare per incrociare

Diego ed indossare lassù gli scarpini di una vita.


Il sevo che cola, raccolto in protetti tini, orbato

alla vista del volgo, implicato, di già, in legacci.


Con i cani, privati di denti, posti a fissare fanali.


                   Giuseppe Romano


11/12/2020

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