PENSIERI
A POSTERIORI SU
“I
MIEI DESERTI” DI CAROLINA MONACI
Con
“I miei deserti”, Carolina
Monaci, nostra
concittadina
di Malcesine, ha saputo risvegliare, in
noi che abbiamo avuto la fortuna di leggere la sua prima esperienza
letteraria, il senso dell’appartenenza.
Ognuno
di noi, in questo mondo di itineranti, ha avuto un percorso che non
sempre è stato stanziale,
ma, spesso, ha dovuto o voluto muoversi come il percorso di un fiume
che nasce dalle viscere della terra, in collina o sui monti,
attraversare un
territorio, raggiungere il mare dove sfociare.
Lungo
questo percorso, come un camaleonte, subisce
le trasformazioni dovute al territorio che attraversa, muta le
potenzialità dell’acqua, a volte con l’intervento dell’uomo,
vive e lascia vivere, procurando, qualche volta, anche malessere.
Ma
di una
cosa rimane certezza: il
luogo della sua
nascita, che
è
stata, è, sarà sempre la stessa.
Nel
libro Carolina Monaci ha voluto fortemente porre in risalto quelle
che sono le origini della sua famiglia, Branzi in Val Brembana, con
le difficoltà sempre presenti nei paesi di montagna,
con i
monti
che fungono da guardiani del
cielo, ma che aiutano a tenere coesi i
suoi abitanti per lo spirito di fratellanza che è insito in quei
luoghi.
Successivamente
il trasferimento della
famiglia a
Malcesine sul
Lago di Garda (1968)
per
l’inizio
di una nuova avventura lavorativa e, soprattutto, personale.
Ed
a Malcesine Carolina cresce, aiuta in
famiglia, inizia
le prime escursioni in montagna, matura come donna e, anche, come
atleta.
E
fa tesoro degli errori che,
inconsapevolmente, a volte fa, per rialzarsi dopo una caduta.
A
pagina 50 leggiamo:
“Siamo
reduci del passato. Semplicemente
abbiamo sulle spalle uno zaino di ferite, preoccupazioni,
eventi negativi che provengono dalla profonda terra dove le radici
sono piantate.”
Ecco,
le radici, il
senso dell’appartenenza a qualcosa o qualcuno che nessuno mai potrà
toglierci.
Il
passo che ritengo più bello, più riflessivo, più spirituale di
tutto il libro.
Col
passare del tempo, l’esigenza di nuove avventure
sportive, con il raggiungimento di brillanti risultati,
l’attraversamento dei deserti in alcune
competizioni
(Africa
e Iran),
il confrontarsi con mondi diversi dal suo, il contatto con altre
culture che, viste nella giusta luce, ci aiutano a rafforzarci
dentro, rendendoci consapevoli che l’uomo (inteso come essere
umano),
è “fratello” a qualsiasi latitudine.
E
l’incontro con le donne iraniane le ha reso una maggiore
consapevolezza sull’uguaglianza che dovrebbe accomunarci.
Struggente
quanto si legge a pagina 229:
“I
loro occhi gonfi di speranza, desiderio, amorevolezza, incrociavano i
miei”
Esprimevano,
con i loro sguardi, il desiderio immenso di libertà che vedevano in
Carolina e nelle donne occidentali in genere.
Penso
che “I miei deserti” siano un misto di spiritualità, cronaca,
testimonianza di un’autrice che ha voluto coinvolgerci con il suo
vissuto.
Una
lezione di vita a noi tutti, con l’auspicio che il libro possa
essere letto da un ventaglio sempre più ampio di lettori.
Giuseppe
Romano
Malcesine.
18/01/2020
1 commento:
Chi inizia bene è a metà dell’opera.
Buon Lunedì!
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