VISITA
IN SICILIA
DIARIO
DI BORDO
Sapori
Quando
torni
nella
terra
che
ti ha generato
pensi
all'attimo
che
eri partito.
Abbandonati
le
foglie di cedro,
gli
odori di salsa
stesa
al sole
di
agosto,
la
risata incosciente
di
voglie svanite.
La
pioggia a bagnare
le
gote
non
più riscaldate
dal
sole cocente,
il
freddo pungente,
le
stelle cadenti
celate
da nubi vaganti.
Le
foglie ingiallite,
l'odore
del mare,
i
sapori non ancora
sopiti.
Il
vento
non
ha cancellato
le
orme
che
avevi lasciato.
Melanconico
devi
riandare.
Il
pendolo
scandisce
l'istante.
Giuseppe
Romano
Palermo 29/11/2016
23/11/2016
Rivedere
il mare, annusare gli odori di casa, scoprire i mutamenti che si sono
avverati durante la tua assenza. E' lo spirito di chi si rituffa nel
mondo che lo ha visto diventare adulto. E, anche se hai un'età
avanzata, riscopri l'emozione di calpestare la terra dei tuoi avi.
Periodicamente torno in Sicilia ed ogni volta le emozioni si
ripresentano con l'intensità di sempre.
Accompagnato
dagli amici toscani che mi accordano la loro benevolenza e che
reiterano la loro splendida amicizia, ho effettuato, giorni fa, una
visita di qualche giorno per Palermo Città e per l'entroterra
palermitano, scoprendo e riscoprendo luoghi che sembravano
dimenticati, ed invece erano solo come riposti in un angolo del mio
cuore.
Dall'Aeroporto
Catullo di Verona all'Aeroporto Falcone- Borsellino di Palermo sono
appena un'ora e 20 minuti circa di volo e, pertanto, partendo in
mattinata, si raggiunge Palermo intorno alle 11,00. Questa volta
abbiamo scelto di alloggiare in un hotel di Mondello, nota borgata
marinara di Palermo. Il cielo blu, il sole e la spiaggia ci hanno
accolto con i migliori auspici ed è con questo spirito che, dopo un
lauto pranzo a base di pesce presso uno dei tanti ristoranti del
luogo, abbiamo preferito trascorrere il pomeriggio passeggiando per
il litorale, con una caldo che che ci ha fatto dimenticare il freddo
pungente di Verona.
24/11/2016
Premesso
che si era stilato un programma di massima per visitare alcuni luoghi
di interesse culturale in Città e nell'entroterra palermitano, la
mattina successiva all'arrivo, dopo l'abbondante colazione fatta presso l'Hotel
che ci ha ospitato per tutti i giorni di permanenza, siamo partiti
per Cefalà Diana, posto a circa 36 Km. da Palermo.
Cefalà Diana si
trova in una zona abitata sin dall'età romana, frequentata
nell'epoca bizantina ed è importante ricordare che il termine
kefalades/ΚΕΦΑΛΑΔΕΣ (plurale di kefalàs/ΚΕΦΑΛΑΣ) era
anche un appellativo attribuito agli arconti nobili militari,
probabilmente per sottolineare il loro ruolo di capi o comandanti
dell'esercito - un po' come noi usiamo il termine capoccia nel senso
di capo: in questo senso, allora, non è escluso che alcune di queste
famiglie abbiano effettivamente un legame con un kefalàs bizantino.
Nel XIII secolo venne edificato un nuovo castrum per sostituire il
castello normanno, mentre nel XIV secolo la zona si spopolò a causa
di una epidemia di peste. Nel 1329 il castello entrò a far parte del
sistema difensivo dei Chiaramonte. Nel 1406 la baronia venne concessa
agli Abbatellis, cui venne confiscata nel 1503 dopo la ribellione
degli ultimi membri della famiglia. Nel XVIII secolo i Diana,
divenuti duchi di Cefalà nel 1684, fondarono il villaggio di Cefalà
Diana.
Alle porte del
paese, sorgono le Terme Arabe, meta della nostra visita ed unico
esempio arabo rimasto in Europa di tale impianto.
Consistono in un
edificio a pianta rettangolare, che ha all'esterno muri in pietra
irregolare con una fascia in tufo con tracce di scrittura in
caratteri cufici (arabi). La tradizione attribuisce infatti la sua
costruzione al periodo arabo, ma è stata formulata un'altra ipotesi,
basata su criteri storico-costruttivi, che fa risalire ai romani
l'impianto originale, su cui è stata costruita in età normanna, con
maestranze arabe, la volta. Dopo il suo parziale crollo vi
è stata una ricostruzione nel XV secolo. Nell'edificio termale si
aprivano 5 porte (di cui 2 murate e 2 trasformate in finestre), che
davano accesso all'unica sala. L'acqua affluiva dalla vicina sorgente
a 38 °C nelle vasche interrate nel pavimento a due livelli. La volta
ad arco ogivale ribassato è divisa da un muro con tre archi, di cui
il centrale ogivale. Il piccolo complesso è incluso nella Riserva
naturale Bagni di Cefalà Diana e Chiarastella, istituita nel 1997, e
si incontrano varie sorgenti a temperature diverse che sgorgano da
rocce carbonatiche.
Il sito,
Riserva Naturale Orientata BAGNI DI CEFALA' DIANA E CHIARASTELLA,
testimonia il passaggio della Cultura Araba in Sicilia, ma
meriterebbe una ulteriore valorizzazione per essere portato a
conoscenza al maggior numero di appassionati, migliorando la
segnaletica stradale da Palermo a Cefalà Diana, nonché lo stato
delle strade di percorrenza.
Da lodare,
comunque, la passione e la competenza espressa dagli addetti al sito
che hanno illustrato nella loro completezza le origini e le finalità
dell'impianto.
Ultimata la
visita alle Terme, si decide di raggiungere Ficuzza, borgo facente
parte del territorio del Comune di Corleone, attraversando a tal fine
il parco boschivo di Ficuzza, splendente nella varietà dei colori
particolarmente determinati dalla stagione autunnale.
La Riserva
naturale orientata Bosco Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del
Cappelliere e Gorgo del Drago è un'area naturale protetta della
Regione Siciliana, istituita nel 2000 dall'Assessorato Agricoltura e
Foreste della Regione Sicilia
L'area
boscosa dei feudi di Ficuzza, Lupo e Cappelliere fu risparmiata dal
disboscamento fino ai primi anni dell'Ottocento perché territorio
impervio e roccioso, di alta collina, meno adatto dei circostanti
alla pratica dell'agricoltura. Il bosco fu sfruttato come riserva di
legna da ardere. All'inizio dell'Ottocento viene donato dai
latifondisti a Ferdinando
I delle Due Sicilie
per farne sua riserva di caccia. Ferdinando vi fece edificare la
"Casina
Reale di caccia",
attorno alla quale sorse il piccolo borgo di Ficuzza,
frazione di Corleone.
Nel 1860, con l'Unità d'Italia, l'area diviene proprietà del Demanio del Regno d'Italia che cedette ai privati gran parte delle aree già disboscate e dissodate. Nel 1871 quanto resta della ex-riserva reale viene affidato all'Amministrazione Forestale ed il comprensorio dichiarato inalienabile. Con la legge nº 535, 29 dicembre 1901 del Regno d'Italia, il "Bosco nazionale inalienabile di Ficuzza" viene destinato a stazione climatica.
Con atto del 1912 la "Foresta Ficuzza" assieme alla "Foresta di Godrano" divengono di proprietà dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali. Nel corso della prima e ancor più della seconda guerra mondiale la protezione dell'area cede il passo alle esigenze belliche di produzione di legname e pertanto l'area vive un periodo di grave degrado. Nel 1948 l'area diviene proprietà dell'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, che vi pratica attività di rimboschimento. Con Decreto dell'Assessorato Territorio e Ambiente del 26 luglio 2000, n. 365 viene istituita la riserva naturale “Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago”. Lo stesso decreto affida la gestione della riserva all'Azienda Foreste.
Nel 1860, con l'Unità d'Italia, l'area diviene proprietà del Demanio del Regno d'Italia che cedette ai privati gran parte delle aree già disboscate e dissodate. Nel 1871 quanto resta della ex-riserva reale viene affidato all'Amministrazione Forestale ed il comprensorio dichiarato inalienabile. Con la legge nº 535, 29 dicembre 1901 del Regno d'Italia, il "Bosco nazionale inalienabile di Ficuzza" viene destinato a stazione climatica.
Con atto del 1912 la "Foresta Ficuzza" assieme alla "Foresta di Godrano" divengono di proprietà dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali. Nel corso della prima e ancor più della seconda guerra mondiale la protezione dell'area cede il passo alle esigenze belliche di produzione di legname e pertanto l'area vive un periodo di grave degrado. Nel 1948 l'area diviene proprietà dell'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, che vi pratica attività di rimboschimento. Con Decreto dell'Assessorato Territorio e Ambiente del 26 luglio 2000, n. 365 viene istituita la riserva naturale “Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago”. Lo stesso decreto affida la gestione della riserva all'Azienda Foreste.
Attraverso il
bosco raggiungiamo la vecchia Stazione Ferroviaria di Ficuzza, posta
sulla linea ferroviaria a scartamento ridotto Palermo – Corleone,
chiusa al traffico ferroviario nel 1961.
Dopo un periodo
di totale abbandono e degrado, il manufatto, grazie alla volontà ed
alla passione di alcuni ristoratori, viene recuperato e trasformato
in ristorante e Bed&Breakfast, raccogliendo antichi reperti
ferroviari per la conservazione della memoria che guarda indietro, ma
ci proietta in avanti.
Rivedere l'ex
Stazione di Ficuzza, con i vecchi binari ancora presenti, il
serbatoio dell'acqua utilizzato a suo tempo per il reintegro
dell'acqua alle locomotive a carbone, la presenza di una
modello di locomotiva, ha pervaso il sottoscritto di una grande
emozione.
Flash-back dell'adolescenza trascorsa in quei luoghi, il ricordo di mio fratello maggiore che lavorava fra quei binari, i primi battiti per amori nascenti e mai realizzati. L'inizio della vita tra la natura e la spensieratezza.
Flash-back dell'adolescenza trascorsa in quei luoghi, il ricordo di mio fratello maggiore che lavorava fra quei binari, i primi battiti per amori nascenti e mai realizzati. L'inizio della vita tra la natura e la spensieratezza.
Poi
l'accoglienza dei ristoratori, interessati a raccogliere notizie di
quel felice periodo, ed il pranzo succulento che ha fatto dimenticare
la melanconia del momento.
Prima del
pranzo si era effettuata una fugace visita alla Casina Reale di
caccia di Ficuzza, vista solo dall'esterno, ma imponente per la sua
struttura.
Per completare
la visita di quel territorio, previa telefonata all'amico Bernardo,
si è deciso di visitare la Città di Corleone.
Il
comune sorge in una zona interna di montagna ed ha una economia
prettamente agricola. Lungo la strada che collega Ficuzza
con Corleone, seguendo la vecchia linea ferroviaria che collegava
Palermo
a San
Carlo (Chiusa Sclafani)
(diventata pista ciclabile), si arriva ad un vecchio ponte
attraversato dal torrente Frattina che si butta tra le rocce calcaree
quasi ad esserne inghiottito. Avvicindandosi al letto del torrente si
può notare come questo, attraverso l'azione erosiva dell'acqua e del
carsismo, ha solcato nel tempo la roccia formando voragini, mulinelli
e piccole cascate nei quali l'acqua copiosa, prima scompare e poi
riaffiora fra i massi e la lussureggiante vegetazione. Di notevoli
dimensioni sono le "marmitte dei Giganti", cioè buche
cilindriche e profonde dove l'acqua assume un andamento vorticoso. Si
intravedono poi i resti di un muro di chiusa del torrente da dove
l'acqua veniva convogliata per alimentare un mulino, di cui si
possono vedere solo le tracce.
All'interno del
territorio di Corleone, a pochi passi dal centro storico della città
si trova il "Parco naturale della cascata delle Due rocche".
Dopo aver attraversato una serie di viuzze nel quartiere San Giuliano
si giunge davanti a una piccola chiesa dedicata per l'appunto alla
Madonna delle due rocche. Alla sinistra di questa chiesetta «si
snoda un sentiero che conduce tra pioppi,
salici
e olmi
alle cascate. Comodamente seduti su antichi massi squadrati,
all'ombra di gelsi,
noci
e frassini
si può osservare il suggestivo spettacolo della cascata. Il salto
dell'acqua del torrente ha, con la sua azione erosiva, formato una
pozza ampia tra le rocce calcoarenitiche. Dall'acqua schiumosa si
alza una notevole vapore che il sole trasforma in arcobaleni
scintillanti. Tutt'intorno le rocce glauconitiche, rese vive
dall'erosione nei loro colori giallo-verde, sono occupate da
vegetazione rupestre. Osservando bene le pareti si notano i resti di
un antichissimo acquedotto. Prima di gettarsi in questo punto, il
torrente più a monte ha esercitato una forte azione di scavo lungo i
fianchi rocciosi formando il canyon.»
(da Corleone
SottoSopra).
Da
sottolineare che Corleone, noto per gravi fatti di sangue avvenuti in
tempi non del tutto remoti, è alla ricerca della sua vera identità
di operosità accelerando così il suo percorso verso la completa
legalità.
Verso sera si torna
a Mondello con il pensiero proiettato verso una nuova escursione da
effettuare il giorno dopo.
25/11/2016.
Andante nebuloso con
piovaschi. Si decide di visitare Palermo con i suoi angoli suggestivi
ricchi di cultura.
Da
qualche tempo è stata istituita in tutto il Centro Storico la ZTL
(Zona a Traffico Limitato). Ciò ci consente una lunga camminata per
il Centro, esente dal caotico traffico che normalmente invade una
Città.
Una vivibilità
diversa da quella cui si è normalmente abituati.
Dal Teatro Massimo
Vittorio Emanuele di Palermo, realizzato su progetto degli Architetti
Basile (padre e Figlio), inaugurato il 16 maggio 1897 con Falstaff di
Giuseppe Verdi e già visitato in una precedente vacanza palermitana,
si è iniziato un percorso attraverso le Vie della Città.
La prima tappa è stata la Chiesa di S. Ignazio all'Olivella, ubicata in Piazza Olivella con la facciata in stile barocco - romano risalente al 1690 e con due campanili aggiunti nel 1752. In epoca successiva sono collocati gli orologi.
L'altare,
sopraelevato rispetto al piano di calpestio, è costituito da colonne
con capitelli
corinzi
sormontati da spesso cornicione
e timpano.
Attraverso
Via Maqueda, si è quindi giunti alla Chiesa di
Santa Maria dell'Ammiraglio, sede della parrocchia di San Nicolò dei
Greci (Klisha e Shën Kollit së Arbëreshëvet in albanese), nota
come Martorana, è ubicata nel centro
storico di Palermo.
Adiacente alla chiesa
di San Cataldo,
si affaccia sulla piazza
Bellini
ove fronteggia la chiesa
di Santa Caterina d'Alessandria.
La
chiesa
appartiene all'eparchia
di Piana degli Albanesi,
circoscrizione della Chiesa
italo-albanese,
e officia la liturgia
per gli italo-albanesi
residenti in città
secondo il rito
bizantino.
Fra
le chiese bizantine
del Medioevo
in Italia,
è testimonianza della cultura
religiosa e artistica orientale
presente ancora oggi in Italia,
ulteriormente apportata dagli esuli
albanesi
rifugiatisi in Sicilia
sotto l'incalzare delle persecuzioni turche
nei Balcani.
Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie albanesi nella provincia di Palermo. La comunità appartiene oggi alla Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che l'accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.
Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie albanesi nella provincia di Palermo. La comunità appartiene oggi alla Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che l'accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.
La
chiesa si contraddistingue per la molteplicità di stili che
s'incontrano, in quanto, con il susseguirsi dei secoli,
fu arricchita da vari altri gusti artistici,
architettonici
e culturali.
Oggi si presenta, infatti, come chiesa-monumento storico, frutto delle molteplici trasformazioni, sottoposta inoltre a tutela.
Oggi si presenta, infatti, come chiesa-monumento storico, frutto delle molteplici trasformazioni, sottoposta inoltre a tutela.
Dal
3 luglio 2015
fa parte del patrimonio
dell'umanità
(Unesco)
nell'ambito dell' "Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù
e Monreale".
Continuando
il nostro girovagare, si è giunti al Palazzo S. Elia che in quei
giorni ospitava la mostra delle opere di Topazia Alliata e di altri
artisti facenti parte del Suo Cenacolo Artististico, tra i quali un
posto di sicuro rilievo ha Renato Guttuso, vanto, assieme ad altri
esponenti del mondo culturale, della Città di Bagheria.
Topazia
Alliata, nobildonna Palermita, gallerista, pittrice, ma, soprattutto
spirito libero, nata a Palermo il 5/09/1913 e morta a Roma il
4/11/2015, era figlia del Principe Enrico Alliata di Villafranca,
Duca di Salaparuta, ed aveva sposato Fosco Maraini, (Firenze,
15
novembre
1912
– Firenze,
8
giugno
2004)
etnologo,
orientalista,
alpinista,
fotografo,
scrittore
e poeta
italiano.
Dalla loro unione nacquero tre figlie. Una delle quali è Dacia Maraini, scrittrice di grande successo e di livello internazionale.
Dalla loro unione nacquero tre figlie. Una delle quali è Dacia Maraini, scrittrice di grande successo e di livello internazionale.
Con
il marito, lettore
di lingua italiana in Giappone, si reca in quella Nazione, dapprima
nel Hokkaidō,
a Sapporo,
e poi nel Kansai
e a Kyōto.
L'8
settembre 1943, mentre
si trovavano a Tokyo,
rifiutarono di aderire alla Repubblica
di Salò
e furono internati in un campo
di concentramento
a Nagoya
con tutta la sua famiglia. Durante la prigionia Fosco Maraini compì
un gesto d'alto significato simbolico per la cultura giapponese: alla
presenza dei comandanti del campo di concentramento si tagliò
l'ultima falange del mignolo della mano sinistra con una scure. Non
ottenne la libertà, ma una capretta e un orticello permisero alla
famiglia Maraini di sopravvivere. Finita la guerra tornò in Italia,
per poi ripartire verso nuove mete quali il Tibet,
Gerusalemme,
il Giappone
e la Corea.
Visitata
la Chiesa del Gesù, nota anche come Casa Professa, una delle più
importanti chiese barocche di Palermo
e dell'intera Sicilia
(L'aggregato monumentale della Compagnia
di Gesù
è ubicato nel centro
storico di Palermo
nel mandamento
di Palazzo
Reale o Albergaria),
ci si è recati a visitare la Cattedrale metropolitana primaziale
della Santa Vergine Maria Assunta, nota semplicemente come cattedrale
di Palermo, principale luogo
di culto
cattolico
della città di Palermo
e sede
vescovile
dell'omonima
arcidiocesi metropolitana.
Dal
3 luglio 2015
fa parte del Patrimonio
dell'umanità
(Unesco)
nell'ambito dell'Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e
Monreale".
In
questa cattedrale, sintesi di storia e di arte dell'ultimo millennio
in Sicilia, oltre ai sovrani normanni (Ruggero
II di Sicilia,
Guglielmo
II d'Altavilla
e Giovanna
Plantageneto
(13 febbraio 1177)),
svevi, aragonesi (Alfonso
il Magnanimo
dei Trastámara),
catalani, sono stati incoronati Vittorio
Amedeo II di Savoia
e Carlo
III di Borbone.
Inoltre
sono conservati i resti di diversi sovrani che hanno regnato in
Sicilia tra i quali Enrico VI di Svevia, Ruggero
II di Sicilia, Costanza d'Altavilla, Costanza d'Aragona, Federico II
di Svevia. In tempi recenti sono state trasferite anche le spoglie
del Beato Pino Puglisi (Palermo,
15
settembre
1937
– Palermo,
15
settembre
1993),
ucciso da Cosa
nostra
il giorno del suo 56º compleanno a motivo del suo costante impegno
evangelico e sociale.
Al finire della giornata ci si è immersi in un mondo cultural-popolare rappresentato dal Mercato di Ballarò, dove si è potuta ammirare la multietnicità ed i colori del mercato popolare, con la mercanzia esposta sui banconi sfolgoranti di luce e le “abbanniate” (grida) dei vari venditori (pescivendoli, macellai, fruttivendoli, ecc.) che magnificano la bellezza e la bontà della merce esposta da vendere.
Al finire della giornata ci si è immersi in un mondo cultural-popolare rappresentato dal Mercato di Ballarò, dove si è potuta ammirare la multietnicità ed i colori del mercato popolare, con la mercanzia esposta sui banconi sfolgoranti di luce e le “abbanniate” (grida) dei vari venditori (pescivendoli, macellai, fruttivendoli, ecc.) che magnificano la bellezza e la bontà della merce esposta da vendere.
La lontananza dai
luoghi natali non ti fa dimenticare quella parte di te ancorata agli
odori, ai colori, agli affetti che ti hanno accompagnato per mano fin
da piccolo.
E, pertanto, ci
siamo concessi un giorno di pausa al fine di consentirmi una doverosa
visita ai familiari più intimi per un fugace saluto ed un veloce
scambio di notizie sul tempo che passa e sulle trasformazioni che il
naturale evolversi del mondo che gira consente.
L'emozione
ti pervade sempre nel rivedere il verde degli alberi, anche se stare
lontano per tanto tempo ti fa notare il mutamento del territorio, o
l'approccio diverso delle persone che ti vedono dopo anni e che
faticano anche a riconoscerti perchè il loro quotidiano non è più
il tuo ed allora basta solo un saluto veloce o un “come stai”
detto di sfuggita. Quasi lo staccare un cordone ombelicale per un
mondo che non ti appartiene più, ma che, comunque, resta sempre tuo.
Bisogna saper
relativizzare i momenti, accettare le nuove diversità, essere
coscienti che il cambiamento è stato voluto per consentire un futuro
diverso alla tua famiglia.
Il tramonto
chiude una giornata emozionante, ma intensa. Domani si riprende con
una escursione diversa tra la storia e la memoria.
27/09/2016
Visita a Piana
degli Albanesi e dintorni.
Piana
degli Albanesi, in provincia di Palermo,
fino al 1941 Piana dei greci, è una delle più note delle colonie
greco-albanesi della Sicilia e popolose comunità
storiche arbëreshë.
Inoltre fu sede vescovile dell’Eparchia bizantina. Questa cittadina si estende su un altopiano montuoso, con accanto un bel lago e sul versante orientale il maestoso Monte Pizzuta. Un paesaggio davvero mozzafiato, delimitato da bellezze incomparabili. Nel corso degli anni questo centro ha sempre ricoperto ruoli attivi per la tutela e la conservazione degli usi e dei costumi albanesi, lasciando inalterate le peculiarità etniche, linguistiche, culturali e religiose.
Inoltre fu sede vescovile dell’Eparchia bizantina. Questa cittadina si estende su un altopiano montuoso, con accanto un bel lago e sul versante orientale il maestoso Monte Pizzuta. Un paesaggio davvero mozzafiato, delimitato da bellezze incomparabili. Nel corso degli anni questo centro ha sempre ricoperto ruoli attivi per la tutela e la conservazione degli usi e dei costumi albanesi, lasciando inalterate le peculiarità etniche, linguistiche, culturali e religiose.
Per
ciò che concerne le origini del nome sul Dizionario Topografico
della Sicilia troviamo Plana
Graecorum
(Piana dei Greci), detta anche Piana
dell’Arcivescovo.
È il 30 agosto del 1941 che entra in vigore il nome Piana degli
Albanesi.
Storia di Piana
degli Albanesi.
La
fondazione della Piana degli Albanesi risale alla seconda metà del
XV secolo allorché un gruppo di esuli greco – albanesi cercò
rifugio in Italia.
Con la caduta dell’Impero Bizantino il fenomeno si intensificò, negli anni dal 1482 al 1485.
Questa forte immigrazione fu favorita dalla Repubblica di Venezia che la vedeva come un modo per ripopolare centri disabitati o colpiti da carestie.
Gente nomade che si spostava da un posto all’altro della Sicilia e che trovò questo luogo nei territori amministrati dalla Mensa Arcivescovile di Monreale.
Con la caduta dell’Impero Bizantino il fenomeno si intensificò, negli anni dal 1482 al 1485.
Questa forte immigrazione fu favorita dalla Repubblica di Venezia che la vedeva come un modo per ripopolare centri disabitati o colpiti da carestie.
Gente nomade che si spostava da un posto all’altro della Sicilia e che trovò questo luogo nei territori amministrati dalla Mensa Arcivescovile di Monreale.
Negli
anni successivi fu chiesto al cardinale
Juan Borgia
il diritto di soggiornare sulle terre
Mercu e Aydingli,
situate nell’entroterra montuoso presso la pianura
della Fusha.
Questo posto, vicino alle principali città, era fertile e ricco. Il
30 agosto 1488 si sanciva la creazione del più grande polo albanese
dell’isola siciliana alla quale seguiva la costruzione delle chiese
di rito greco – bizantino.
La
cattedrale di Piana degli Albanesi è dedicata a San
Demetrio Megalomartire di Tessalonica (kryeklisha e Shën Mitrit i
Madhi Dëshmor in arbëresh),
anche nota come Klisha e Shën Mitrit, ed è la principale chiesa
elevata alla dignità di cattedrale
di Piana
degli Albanesi
e dell'eparchia
di Piana degli Albanesi,
circoscrizione della Chiesa
Italo-Albanese
in Sicilia.
La
cattedrale
è l'edificio di culto
più grande e importante dell'eparchia,
dove ha luogo il primo patrono
della città
e della diocesi.
Sede delle principali manifestazioni del culto di rito
bizantino
e delle solenni funzioni in occasione delle celebrazioni dell'eparca
- come per i riti dell'Epifania
(Ujët të pagëzuam), della Grande
e Santa Settimana
(Java e Madhe) e quindi della Pasqua
(Pashkët), del Natale
(Krishtlindjet), etc., ed è il luogo della consacrazione e
proclamazione del vescovo degli albanesi di rito orientale
dell'Italia
insulare.
Collocata
nella principale strada
di Piana degli Albanesi, corso Kastriota,
la cattedrale fu sede dal 1784
del vescovo
ordinante di rito bizantino-greco per gli Albanesi di Sicilia, e fino
al 18 luglio 1924,
in Piana degli Albanesi, era la sola parrocchia
con un Collegio di quattro papàs.
Con
grande partecipazione si è assistito alla Messa in rito bizantino ed
in lingua albanese con l'eccezione della lettura del Vangelo e
dell'omelia in lingua italiana, probabilmente un atto di omaggio a
chi non è di Piana e, quindi, impossibilitato a comprendere la
lingua albanese.
Alla
fine della Messa si è visitato il Museo Civico Nicola Barbato
ubicato nei pressi della Cattedrale e molto interessante per il
materiale esposto che segna la storia di Piana degli Albanesi e dei
suoi abitanti.
Il
Museo nasce come Mostra Permanente sulla Cultura Materiale nel 1989,
dopo un accurato lavoro di ricerca e documentazione realizzato dai
giovani impegnati nei progetti di pubblica utilità (ex art. 23). La
Mostra si è nel tempo ulteriormente arricchita con riproduzioni in
scala dei ruderi di vecchi mulini ad acqua, delle masserie esistenti
nel territorio e delle Chiese di Piana degli Albanesi. Con delibera
n. 107/94 viene istituito il museo civico «Nicola Barbato» ed
approvato il relativo statuto.
L'attuale sede del museo, inaugurata nella primavera del 2002, è ubicata in via Padre G. Guzzetta nei pressi della piazza V. Emanuele. L'immobile che anticamente ospitava l'Oratorio San Filippo Neri (Ritiri) si articola su due piani: al piano terra la Reception e due sale utilizzate per le mostre temporanee; al primo piano nove sale espositive ospitano le collezioni permanenti suddivise in cinque sezioni: Etnografica, Storica, Libraria, Naturalistica, e sezione degli Abiti tradizionali. Particolarmente interessante è l’esposizione degli abiti tradizionali femminili, interamente ricamati in oro su seta, e dei gioielli, tipici esempi di oreficeria siciliana del ‘600 e '700. Tutto il materiale, inventariato e catalogato, è stato esposto secondo le indicazioni della moderna tecnica museale, grazie anche alla collaborazione della competente sezione etnoantropologica della Soprintendenza. Le attività museali sono andate nella direzione della promozione culturale mediante la realizzazione di diverse mostre (pittura, scultura, ricamo, beni ambientali, fotografia, storia ecc..) nel tentativo di svolgere ed attuare i compiti di carattere divulgativo e didattico.
L'attuale sede del museo, inaugurata nella primavera del 2002, è ubicata in via Padre G. Guzzetta nei pressi della piazza V. Emanuele. L'immobile che anticamente ospitava l'Oratorio San Filippo Neri (Ritiri) si articola su due piani: al piano terra la Reception e due sale utilizzate per le mostre temporanee; al primo piano nove sale espositive ospitano le collezioni permanenti suddivise in cinque sezioni: Etnografica, Storica, Libraria, Naturalistica, e sezione degli Abiti tradizionali. Particolarmente interessante è l’esposizione degli abiti tradizionali femminili, interamente ricamati in oro su seta, e dei gioielli, tipici esempi di oreficeria siciliana del ‘600 e '700. Tutto il materiale, inventariato e catalogato, è stato esposto secondo le indicazioni della moderna tecnica museale, grazie anche alla collaborazione della competente sezione etnoantropologica della Soprintendenza. Le attività museali sono andate nella direzione della promozione culturale mediante la realizzazione di diverse mostre (pittura, scultura, ricamo, beni ambientali, fotografia, storia ecc..) nel tentativo di svolgere ed attuare i compiti di carattere divulgativo e didattico.
Interessante
questo Museo che ci aiuta a capire le tradizioni di Piana, con un
particolare riferimento alle attività agricole ed artigianali della
cittadinanza. Gli attrezzi agricoli testimoniano l'attività
contadina di un tempo, mentre i manufatti domestici servono a
descrivere quella che era la vita domestica negli anni non ancora
tecnologici.
Si
ritiene opportuno sottolineare la competenza e la passione dimostrata
dagli addetti al Museo. La Sig.ra Giusy Terranova è stata una guida
appassionata e competente e ci ha guidati, attraverso un'ampia
spiegazione, nel mondo culturale di Piana, partendo dalle origini
della Comunità e dalle motivazioni che hanno spinto intere
famiglie a trasferirsi da un paese allora dominato da invasori ad una
terra che li ha accolti assicurando loro la sopravvivenza. E la
storia si ripete ancora oggi con altri popoli che fuggono dalle
guerre, dalla fame, dalle violenze.
Da
sottolineare, comunque, la tenacia di un popolo che, nei secoli, ha
conservato la cultura, le tradizioni e la lingua di origine
trasmessa oralmente da padre in figlio, fino ai giorni nostri, ma non
isolandosi, bensì integrandosi con il tessuto sociale già
esistente. Un connubio che aiuta un popolo a crescere per continuo
miglioramento di una Nazione. Non dimenticare mai da dove proveniamo,
ma non calpestare la terra che ci ha accolto con amore ed in
serenità. Una massima che tutti dovemmo rispettare: Sempre!.
Ultimata
la visita a Piana con la sua ricca storia , ringraziato calorosamente
la Signora Terranova per come ha contribuito a farci conoscere
ancora meglio la sua Città e la Cultura che li ha guidati nei
secoli, abbiamo raggiunto, per la pausa pranzo, uno splendido
agriturismo dove ci
si è satollati con un
sontuoso cibo,
concludendo
il pasto
con il famoso “Cannolo” di Piana degli Albanesi.
Nel nostro cammino è doveroso visitare dei luoghi che, per i fatti accaduti, rimangono indelebilmente impressi nella nostra memoria.
Un popolo che
dimentica non ha diritto di chiamarsi popolo, perchè il ricordo deve
aiutarci a migliorare e ad evitare gli errori commessi, ma molto
spesso ce ne dimentichiamo.
E
con questo spirito ci siamo incamminati verso un luogo che, ancora
oggi, rimane vivo nella storia di questo nostro Paese: Portella della
Ginestra.
Ti
accoglie il silenzio, ancora vivo, nonostante che
gli
anni si
siano accatastati l'uno sull'altro, il freddo, che sa di morte, a
dispetto del sole che dovrebbe riscaldare l'anima ed il corpo, le
pietre, che sanno ancora di sangue, poste a testimonianza, per non
dimenticare.
Un
evento criminoso che ha falciato vittime innocenti e scosso il
tessuto sociale di tutto il Paese.
Il
1º maggio 1947, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori,
spostata dal
regime fascista al
21 aprile. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli
Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini,
si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata
circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare
contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte
e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti
elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile
di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato
29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21
della DC (crollata al 20% circa). Improvvisamente dal monte Pelavet
partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si
protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici
morti (nove adulti e due bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni
morirono in seguito per le ferite riportate.
La
strage di Portella della Ginestra fu opera
della
banda criminale di Salvatore Giuliano.
Nel
mese successivo alla strage di Portella della Ginestra, avvennero
attentati con mitra e bombe a mano contro le sedi del PCI di
Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San
Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando in tutto un morto e
numerosi feriti: sui luoghi degli attentati vennero lasciati dei
volantini firmati dal bandito Salvatore Giuliano che incitavano la
popolazione a ribellarsi al comunismo.
La
CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti
siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei
lavoratori”. Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare a
Portella della Ginestra e a compiere gli attentati contro le sedi
comuniste erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore
Giuliano, ex colonnello dell'E.V.I.S.. Il rapporto dei carabinieri
sulla strage faceva chiaramente riferimento ad "elementi
reazionari in combutta con i mafiosi".
Queste le undici
vittime, così come riportate dalla pietra incisa posta sul luogo del
massacro:
- Margherita Clesceri (minoranza albanese, 37 anni)
- Giorgio Cusenza (min. albanese, 42 anni)
- Giovanni Megna (min. albanese, 18 anni)
- Francesco Vicari (min. albanese, 22 anni)
- Vito Allotta (min. albanese, 19 anni)
- Serafino Lascari (min. albanese, 15 anni)
- Filippo Di Salvo (min. albanese, 48 anni)
- Giuseppe Di Maggio (13 anni)
- Castrense Intravaia (18 anni)
- Giovanni Grifò (12 anni)
- Vincenza La Fata (8 anni)
Rimasero gravemente
ferite 27 persone. Alcuni di questi
feriti morirono in seguito a causa delle ferite riportate.
Indagini e processi
Sul
movente dell'eccidio furono formulate alcune ipotesi già
all'indomani della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro Mario
Scelba intervenne all'Assemblea Costituente, affermando che dietro
all'episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma
che doveva essere considerato un fatto circoscritto.
Il
processo iniziato nel 1950, dapprima istruito a Palermo poi spostato
a Viterbo per legittima suspicione, si concluse nel 1953, con la
conferma della tesi che gli unici responsabili erano Giuliano (ormai
ucciso il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio
Perenze) e i suoi uomini, che furono condannati all'ergastolo.
Durante il processo, il bandito Gaspare Pisciotta, oltre ad
attribuirsi l'assassinio di Giuliano, lanciò pesanti accuse contro i
deputati monarchici Giovanni Alliata Di Montereale, Tommaso Leone
Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso ed anche contro i democristiani
Bernardo Mattarella e Mario Scelba, da lui accusati di aver avuto
incontri con il bandito Giuliano per pianificare la strage di
Portella della Ginestra: tuttavia la Corte d'Assise di Viterbo
dichiarò infondate le accuse di Pisciotta poiché il bandito aveva
fornito nove diverse versioni sui mandanti politici della strage.
La
seconda ipotesi fu quella sostenuta da Girolamo Li Causi in sede
parlamentare, dalle forze di sinistra e dalla CGIL, secondo la quale
il bandito Giuliano era solo l'esecutore del massacro: i mandanti,
gli agrari e i mafiosi, avevano voluto lanciare un preciso messaggio
politico all'indomani della vittoria del Blocco del Popolo alle
elezioni regionali.
In seguito ai
riscontri emersi dal processo, diversi parlamentari socialisti e
comunisti denunciarono i rapporti tra esponenti delle istituzioni,
mafia e banditi.
Il
Memoriale di Portella delle Ginestra è una originale sistemazione
naturale-monumentale del luogo, situato nella contrada omonima di
Piana degli Albanesi. La sistemazione monumentale di Portella della
Ginestra è un'opera di land art (arte della terra, del territorio)
di cui vi sono altri svariati esempi nel mondo. Il Memoriale è stato
progettato e realizzato tra il 1979-1980 da Ettore de Conciliis,
pittore e scultore, con la collaborazione del pittore Rocco Falciano
e dell'architetto Giorgio Stockel.
L'opera,
a carattere non effimero né ideologico, è stata immersa nella
natura e nel paesaggio per evitare di chiudere la memoria della
strage in un blocco architettonico o in un chiuso gruppo di figure.
Andando oltre le sistemazioni monumentali concepite in modo più
tradizionale, l'artista ha tentato di imprimere un gigantesco e
perenne segno della memoria sul pianoro sassoso di Portella della
Ginestra. Un muro a secco fiancheggiato da una tipica trazzera, per
una lunghezza di circa 40 metri, taglia la terra, come una ferita,
nella direzione degli spari. Tutt'intorno, per un'area di circa un
chilometro quadrato, dove vi furono i caduti del 1º maggio 1947, si
innalzano grandi massi in pietra locale, alti da 2 a 6 metri, cavati
sul posto della pietraia. Uno di essi è il masso di Nicola Barbato,
da dove il prestigioso dirigente Arbëreshë dei Fasci Siciliani dei
Lavoratori era solito parlare alla sua gente. Altri figurano
sinteticamente corpi, facce e forme di animali caduti. In altri due
sono rispettivamente incisi i nomi dei caduti e una poesia. Essendo
stata una strage che ha colpito una minoranza etno-linguistica, una
nuova opera di Ettore de Conciliis prevede un altro grande masso,
sempre in pietra locale, con incisa una poesia in lingua albanese.
Torniamo in Città
verso sera, scossi per gli eventi di un tempo che hanno causato
dolore e morte, riflettendo sull'uomo che non riesce a scrollarsi
dall'ingordigia che lo pervade per il raggiungimento del potere.
28/11/2016
Ci
avviamo alla chiusura della vacanza ed allora ci si immerge nel verde
dell'Orto Botanico di Palermo.
L'Orto Botanico
dell'Università di Palermo è una tra le più importanti istituzioni
accademiche italiane. Considerato un enorme museo all'aperto, vanta
oltre duecento anni di attività che gli hanno consentito anche lo
studio e la diffusione, in Sicilia, in Europa e in tutto il bacino
del Mediterraneo, di innumerevoli specie vegetali, molte originarie
delle regioni tropicali e subtropicali. La peculiarità di questo
Orto è, oggi, rappresentata dalla grande ricchezza di specie
ospitate che ne fanno un luogo ricchissimo di espressioni di flore
diverse. Fa parte del Sistema Museale dell'Ateneo palermitano.
Dell'Orto
botanico fanno parte diverse strutture tra cui l'Erbario
Mediterraneo, le cui raccolte ammontano a circa 400.000 exsiccata,
collezionati a partire dal XVIII secolo e provenienti per lo più
dalla Sicilia e dall'intera area mediterranea. Questa collezione - in
gran parte composta da briofite, alghe, funghi e specie vascolari -
supporta il lavoro di un grande numero di studiosi e rappresenta uno
strumento fondamentale per la ricerca nel campo della sistematica,
dell'ecologia, della fitogeografia e dell'evoluzione. Questo sito
fornisce l'accesso ai dati dell'Erbario e alle immagini dei singoli
exsiccata. Il database online è, oggi, ancora in fase di sviluppo
sebbene circa 90.000 campioni sono già consultabili online.
Ultimata
la visita all'Orto botanico, con ancora i profumi emanati
dall'immensa flora esistente, gli occhi colmi del verde e della
maestosità delle piante, si va in giro per la Palermo storica, con
il tempo che è trascorso veloce, ma con una carica in più che ci fa
promettere di tornare per scoprire nuove bellezze d'arte nella
Sicilia che ha saputo accogliere diversi popoli e culture, senza
respingere alcuno, anzi, spesso, subendo la tracotanza dei dominatori
che
si sono susseguiti nei millenni.
29/11/2016
Si
torna a casa (anche se tutto il mondo è la tua casa).
L'aeromobile
si stacca da terra per alzarsi in volo e farci ammirare il mare
Mediterraneo che circonda l'Isola del sole.
Si
torna verso la quotidianità.
Ciao
Sicilia. A presto.
Giuseppe Romano
P.S.:
Si
ritiene opportuno segnalare che alcune notizie presenti in questo
breve diario di bordo sono state estrapolate da alcuni siti internet
presenti su Google.
Un
Grazie particolare a tutti coloro che ci hanno assistito e guidato
lungo le escursioni, consentendoci di arricchire le nostre modeste
conoscenze.
8/12/2016
Complimenti Pino per questo tuo reportage turistico, ricco di notize storiche, monumentali e altro. Un bel diario di una escursione breve ma intensa, che come tuo solito si trasforma in un piccolo capolavoro di bellezza e sobrietà poetica. Complimenti anche per la gestione fotografica nell'intercalare luoghi e commenti facendo si che la foto accompagni l'analitica descrizione dei luoghi. Bravo Pino ora sei completamente padrone della situazione del blog, ancora qualche piccolo ritocco e poi..... Ciao Pino un abbraccio a presto rivederci per un'altra tappa in questa isola splendida che è la nostra terra.
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