sabato 18 gennaio 2020

Pensieri a posteriori su "I miei deserti" di Carolina Monaci

PENSIERI A POSTERIORI SU
I MIEI DESERTI” DI CAROLINA MONACI


      Con “I miei deserti”, Carolina Monaci, nostra concittadina di Malcesine, ha saputo risvegliare, in noi che abbiamo avuto la fortuna di leggere la sua prima esperienza letteraria, il senso dell’appartenenza.
      Ognuno di noi, in questo mondo di itineranti, ha avuto un percorso che non sempre è stato stanziale, ma, spesso, ha dovuto o voluto muoversi come il percorso di un fiume che nasce dalle viscere della terra, in collina o sui monti, attraversare un territorio, raggiungere il mare dove sfociare.
      Lungo questo percorso, come un camaleonte, subisce le trasformazioni dovute al territorio che attraversa, muta le potenzialità dell’acqua, a volte con l’intervento dell’uomo, vive e lascia vivere, procurando, qualche volta, anche malessere.
      Ma di una cosa rimane certezza: il luogo della sua nascita, che è stata, è, sarà sempre la stessa.
      Nel libro Carolina Monaci ha voluto fortemente porre in risalto quelle che sono le origini della sua famiglia, Branzi in Val Brembana, con le difficoltà sempre presenti nei paesi di montagna, con i monti che fungono da guardiani del cielo, ma che aiutano a tenere coesi i suoi abitanti per lo spirito di fratellanza che è insito in quei luoghi.
      Successivamente il trasferimento della famiglia a Malcesine sul Lago di Garda (1968) per l’inizio di una nuova avventura lavorativa e, soprattutto, personale.
      Ed a Malcesine Carolina cresce, aiuta in famiglia, inizia le prime escursioni in montagna, matura come donna e, anche, come atleta.
      E fa tesoro degli errori che, inconsapevolmente, a volte fa, per rialzarsi dopo una caduta.
      A pagina 50 leggiamo:
      “Siamo reduci del passato. Semplicemente abbiamo sulle spalle uno zaino di ferite, preoccupazioni, eventi negativi che provengono dalla profonda terra dove le radici sono piantate.”
      Ecco, le radici, il senso dell’appartenenza a qualcosa o qualcuno che nessuno mai potrà toglierci.
      Il passo che ritengo più bello, più riflessivo, più spirituale di tutto il libro.
      Col passare del tempo, l’esigenza di nuove avventure sportive, con il raggiungimento di brillanti risultati, l’attraversamento dei deserti in alcune competizioni (Africa e Iran), il confrontarsi con mondi diversi dal suo, il contatto con altre culture che, viste nella giusta luce, ci aiutano a rafforzarci dentro, rendendoci consapevoli che l’uomo (inteso come essere umano), è “fratello” a qualsiasi latitudine.
      E l’incontro con le donne iraniane le ha reso una maggiore consapevolezza sull’uguaglianza che dovrebbe accomunarci.
      Struggente quanto si legge a pagina 229:
      “I loro occhi gonfi di speranza, desiderio, amorevolezza, incrociavano i miei”
      Esprimevano, con i loro sguardi, il desiderio immenso di libertà che vedevano in Carolina e nelle donne occidentali in genere.
      Penso che “I miei deserti” siano un misto di spiritualità, cronaca, testimonianza di un’autrice che ha voluto coinvolgerci con il suo vissuto.
      Una lezione di vita a noi tutti, con l’auspicio che il libro possa essere letto da un ventaglio sempre più ampio di lettori.

                                                                                                   Giuseppe Romano


            Malcesine. 18/01/2020

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