giovedì 8 dicembre 2016

Visita in Sicilia

VISITA IN SICILIA
DIARIO DI BORDO

Sapori

Quando torni
nella terra
che ti ha generato
pensi all'attimo
che eri partito.
Abbandonati
le foglie di cedro,
gli odori di salsa
stesa al sole
di agosto,
la risata incosciente
di voglie svanite.
La pioggia a bagnare
le gote
non più riscaldate
dal sole cocente,
il freddo pungente,
le stelle cadenti
celate da nubi vaganti.
Le foglie ingiallite,
l'odore del mare,
i sapori non ancora
sopiti.
Il vento
non ha cancellato
le orme
che avevi lasciato.
 
Melanconico
devi riandare.
 
Il pendolo
scandisce
l'istante.
                                     Giuseppe Romano

   Palermo 29/11/2016





23/11/2016
   Rivedere il mare, annusare gli odori di casa, scoprire i mutamenti che si sono avverati durante la tua assenza. E' lo spirito di chi si rituffa nel mondo che lo ha visto diventare adulto. E, anche se hai un'età avanzata, riscopri l'emozione di calpestare la terra dei tuoi avi. Periodicamente torno in Sicilia ed ogni volta le emozioni si ripresentano con l'intensità di sempre.
   Accompagnato dagli amici toscani che mi accordano la loro benevolenza e che reiterano la loro splendida amicizia, ho effettuato, giorni fa, una visita di qualche giorno per Palermo Città e per l'entroterra palermitano, scoprendo e riscoprendo luoghi che sembravano dimenticati, ed invece erano solo come riposti in un angolo del mio cuore.
   Dall'Aeroporto Catullo di Verona all'Aeroporto Falcone- Borsellino di Palermo sono appena un'ora e 20 minuti circa di volo e, pertanto, partendo in mattinata, si raggiunge Palermo intorno alle 11,00. Questa volta abbiamo scelto di alloggiare in un hotel di Mondello, nota borgata marinara di Palermo. Il cielo blu, il sole e la spiaggia ci hanno accolto con i migliori auspici ed è con questo spirito che, dopo un lauto pranzo a base di pesce presso uno dei tanti ristoranti del luogo, abbiamo preferito trascorrere il pomeriggio passeggiando per il litorale, con una caldo che che ci ha fatto dimenticare il freddo pungente di Verona.

                                                             
                                                             
                                                
24/11/2016
   Premesso che si era stilato un programma di massima per visitare alcuni luoghi di interesse culturale in Città e nell'entroterra palermitano, la mattina successiva all'arrivo, dopo l'abbondante colazione fatta presso l'Hotel che ci ha ospitato per tutti i giorni di permanenza, siamo partiti per Cefalà Diana, posto a circa 36 Km. da Palermo.
   Cefalà Diana si trova in una zona abitata sin dall'età romana, frequentata nell'epoca bizantina ed è importante ricordare che il termine kefalades/ΚΕΦΑΛΑΔΕΣ (plurale di kefalàs/ΚΕΦΑΛΑΣ) era anche un appellativo attribuito agli arconti nobili militari, probabilmente per sottolineare il loro ruolo di capi o comandanti dell'esercito - un po' come noi usiamo il termine capoccia nel senso di capo: in questo senso, allora, non è escluso che alcune di queste famiglie abbiano effettivamente un legame con un kefalàs bizantino. Nel XIII secolo venne edificato un nuovo castrum per sostituire il castello normanno, mentre nel XIV secolo la zona si spopolò a causa di una epidemia di peste. Nel 1329 il castello entrò a far parte del sistema difensivo dei Chiaramonte. Nel 1406 la baronia venne concessa agli Abbatellis, cui venne confiscata nel 1503 dopo la ribellione degli ultimi membri della famiglia. Nel XVIII secolo i Diana, divenuti duchi di Cefalà nel 1684, fondarono il villaggio di Cefalà Diana.
   Alle porte del paese, sorgono le Terme Arabe, meta della nostra visita ed unico esempio arabo rimasto in Europa di tale impianto.
    Consistono in un edificio a pianta rettangolare, che ha all'esterno muri in pietra irregolare con una fascia in tufo con tracce di scrittura in caratteri cufici (arabi). La tradizione attribuisce infatti la sua costruzione al periodo arabo, ma è stata formulata un'altra ipotesi, basata su criteri storico-costruttivi, che fa risalire ai romani l'impianto originale, su cui è stata costruita in età normanna, con maestranze arabe, la volta. Dopo il suo parziale crollo vi è stata una ricostruzione nel XV secolo. Nell'edificio termale si aprivano 5 porte (di cui 2 murate e 2 trasformate in finestre), che davano accesso all'unica sala. L'acqua affluiva dalla vicina sorgente a 38 °C nelle vasche interrate nel pavimento a due livelli. La volta ad arco ogivale ribassato è divisa da un muro con tre archi, di cui il centrale ogivale. Il piccolo complesso è incluso nella Riserva naturale Bagni di Cefalà Diana e Chiarastella, istituita nel 1997, e si incontrano varie sorgenti a temperature diverse che sgorgano da rocce carbonatiche.
   Il sito, Riserva Naturale Orientata BAGNI DI CEFALA' DIANA E CHIARASTELLA, testimonia il passaggio della Cultura Araba in Sicilia, ma meriterebbe una ulteriore valorizzazione per essere portato a conoscenza al maggior numero di appassionati, migliorando la segnaletica stradale da Palermo a Cefalà Diana, nonché lo stato delle strade di percorrenza.
   Da lodare, comunque, la passione e la competenza espressa dagli addetti al sito che hanno illustrato nella loro completezza le origini e le finalità dell'impianto.

                                                                       

                                                                  

   Ultimata la visita alle Terme, si decide di raggiungere Ficuzza, borgo facente parte del territorio del Comune di Corleone, attraversando a tal fine il parco boschivo di Ficuzza, splendente nella varietà dei colori particolarmente determinati dalla stagione autunnale.
La Riserva naturale orientata Bosco Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago è un'area naturale protetta della Regione Siciliana, istituita nel 2000 dall'Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia
L'area boscosa dei feudi di Ficuzza, Lupo e Cappelliere fu risparmiata dal disboscamento fino ai primi anni dell'Ottocento perché territorio impervio e roccioso, di alta collina, meno adatto dei circostanti alla pratica dell'agricoltura. Il bosco fu sfruttato come riserva di legna da ardere. All'inizio dell'Ottocento viene donato dai latifondisti a Ferdinando I delle Due Sicilie per farne sua riserva di caccia. Ferdinando vi fece edificare la "Casina Reale di caccia", attorno alla quale sorse il piccolo borgo di Ficuzza, frazione di Corleone. 

                                                             
                                                                


   Nel 1860, con l'Unità d'Italia, l'area diviene proprietà del Demanio del Regno d'Italia che cedette ai privati gran parte delle aree già disboscate e dissodate. Nel 1871 quanto resta della ex-riserva reale viene affidato all'Amministrazione Forestale ed il comprensorio dichiarato inalienabile. Con la legge nº 535, 29 dicembre 1901 del Regno d'Italia, il "Bosco nazionale inalienabile di Ficuzza" viene destinato a stazione climatica.
   Con atto del 1912 la "Foresta Ficuzza" assieme alla "Foresta di Godrano" divengono di proprietà dell'Azienda di Stato per le foreste demaniali. Nel corso della prima e ancor più della seconda guerra mondiale la protezione dell'area cede il passo alle esigenze belliche di produzione di legname e pertanto l'area vive un periodo di grave degrado. Nel 1948 l'area diviene proprietà dell'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, che vi pratica attività di rimboschimento. Con Decreto dell'Assessorato Territorio e Ambiente del 26 luglio 2000, n. 365 viene istituita la riserva naturale “Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago”. Lo stesso decreto affida la gestione della riserva all'Azienda Foreste.
   Attraverso il bosco raggiungiamo la vecchia Stazione Ferroviaria di Ficuzza, posta sulla linea ferroviaria a scartamento ridotto Palermo – Corleone, chiusa al traffico ferroviario nel 1961.
   Dopo un periodo di totale abbandono e degrado, il manufatto, grazie alla volontà ed alla passione di alcuni ristoratori, viene recuperato e trasformato in ristorante e Bed&Breakfast, raccogliendo antichi reperti ferroviari per la conservazione della memoria che guarda indietro, ma ci proietta in avanti.
   Rivedere l'ex Stazione di Ficuzza, con i vecchi binari ancora presenti, il serbatoio dell'acqua utilizzato a suo tempo per il reintegro dell'acqua alle locomotive a carbone, la presenza di una modello di locomotiva, ha pervaso il sottoscritto di una grande emozione.
   Flash-back dell'adolescenza trascorsa in quei luoghi, il ricordo di mio fratello maggiore che lavorava fra quei binari, i primi battiti per amori nascenti e mai realizzati. L'inizio della vita tra la natura e la spensieratezza.

                                                                       
                                                                           
                                                                          
                                                                          

                                                                 
                                                                          

   Poi l'accoglienza dei ristoratori, interessati a raccogliere notizie di quel felice periodo, ed il pranzo succulento che ha fatto dimenticare la melanconia del momento.
   Prima del pranzo si era effettuata una fugace visita alla Casina Reale di caccia di Ficuzza, vista solo dall'esterno, ma imponente per la sua struttura.
   Per completare la visita di quel territorio, previa telefonata all'amico Bernardo, si è deciso di visitare la Città di Corleone.
    Il comune sorge in una zona interna di montagna ed ha una economia prettamente agricola. Lungo la strada che collega Ficuzza con Corleone, seguendo la vecchia linea ferroviaria che collegava Palermo a San Carlo (Chiusa Sclafani) (diventata pista ciclabile), si arriva ad un vecchio ponte attraversato dal torrente Frattina che si butta tra le rocce calcaree quasi ad esserne inghiottito. Avvicindandosi al letto del torrente si può notare come questo, attraverso l'azione erosiva dell'acqua e del carsismo, ha solcato nel tempo la roccia formando voragini, mulinelli e piccole cascate nei quali l'acqua copiosa, prima scompare e poi riaffiora fra i massi e la lussureggiante vegetazione. Di notevoli dimensioni sono le "marmitte dei Giganti", cioè buche cilindriche e profonde dove l'acqua assume un andamento vorticoso. Si intravedono poi i resti di un muro di chiusa del torrente da dove l'acqua veniva convogliata per alimentare un mulino, di cui si possono vedere solo le tracce.

                                                                       
                                                                           



                                                                 

    All'interno del territorio di Corleone, a pochi passi dal centro storico della città si trova il "Parco naturale della cascata delle Due rocche". Dopo aver attraversato una serie di viuzze nel quartiere San Giuliano si giunge davanti a una piccola chiesa dedicata per l'appunto alla Madonna delle due rocche. Alla sinistra di questa chiesetta «si snoda un sentiero che conduce tra pioppi, salici e olmi alle cascate. Comodamente seduti su antichi massi squadrati, all'ombra di gelsi, noci e frassini si può osservare il suggestivo spettacolo della cascata. Il salto dell'acqua del torrente ha, con la sua azione erosiva, formato una pozza ampia tra le rocce calcoarenitiche. Dall'acqua schiumosa si alza una notevole vapore che il sole trasforma in arcobaleni scintillanti. Tutt'intorno le rocce glauconitiche, rese vive dall'erosione nei loro colori giallo-verde, sono occupate da vegetazione rupestre. Osservando bene le pareti si notano i resti di un antichissimo acquedotto. Prima di gettarsi in questo punto, il torrente più a monte ha esercitato una forte azione di scavo lungo i fianchi rocciosi formando il canyon.» (da Corleone SottoSopra).
   Da sottolineare che Corleone, noto per gravi fatti di sangue avvenuti in tempi non del tutto remoti, è alla ricerca della sua vera identità di operosità accelerando così il suo percorso verso la completa legalità.
   Verso sera si torna a Mondello con il pensiero proiettato verso una nuova escursione da effettuare il giorno dopo.

25/11/2016.
   Andante nebuloso con piovaschi. Si decide di visitare Palermo con i suoi angoli suggestivi ricchi di cultura.
   Da qualche tempo è stata istituita in tutto il Centro Storico la ZTL (Zona a Traffico Limitato). Ciò ci consente una lunga camminata per il Centro, esente dal caotico traffico che normalmente invade una Città.
   Una vivibilità diversa da quella cui si è normalmente abituati.
  Dal Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo, realizzato su progetto degli Architetti Basile (padre e Figlio), inaugurato il 16 maggio 1897 con Falstaff di Giuseppe Verdi e già visitato in una precedente vacanza palermitana, si è iniziato un percorso attraverso le Vie della Città.
                                                            

    La prima tappa è stata la Chiesa di S. Ignazio all'Olivella, ubicata in Piazza Olivella con la facciata in stile barocco - romano risalente al 1690 e con due campanili aggiunti nel   1752. In epoca successiva sono collocati gli orologi.
    L'altare, sopraelevato rispetto al piano di calpestio, è costituito da colonne con capitelli corinzi sormontati da spesso cornicione e timpano.
    Attraverso Via Maqueda, si è quindi giunti alla Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio, sede della parrocchia di San Nicolò dei Greci (Klisha e Shën Kollit së Arbëreshëvet in albanese), nota come Martorana, è ubicata nel centro storico di Palermo. Adiacente alla chiesa di San Cataldo, si affaccia sulla piazza Bellini ove fronteggia la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria.
                                                             
   La chiesa appartiene all'eparchia di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa italo-albanese, e officia la liturgia per gli italo-albanesi residenti in città secondo il rito bizantino.
   Fra le chiese bizantine del Medioevo in Italia, è testimonianza della cultura religiosa e artistica orientale presente ancora oggi in Italia, ulteriormente apportata dagli esuli albanesi rifugiatisi in Sicilia sotto l'incalzare delle persecuzioni turche nei Balcani.
   Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali proprie di alcune colonie albanesi nella provincia di Palermo. La comunità appartiene oggi alla Chiesa cattolica, ma segue il rito e le tradizioni spirituali che l'accomunano in gran parte alla Chiesa ortodossa.
   La chiesa si contraddistingue per la molteplicità di stili che s'incontrano, in quanto, con il susseguirsi dei secoli, fu arricchita da vari altri gusti artistici, architettonici e culturali
   Oggi si presenta, infatti, come chiesa-monumento storico, frutto delle molteplici trasformazioni, sottoposta inoltre a tutela.
   Dal 3 luglio 2015 fa parte del patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito dell' "Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale".
   Continuando il nostro girovagare, si è giunti al Palazzo S. Elia che in quei giorni ospitava la mostra delle opere di Topazia Alliata e di altri artisti facenti parte del Suo Cenacolo Artististico, tra i quali un posto di sicuro rilievo ha Renato Guttuso, vanto, assieme ad altri esponenti del mondo culturale, della Città di Bagheria.
    Topazia Alliata, nobildonna Palermita, gallerista, pittrice, ma, soprattutto spirito libero, nata a Palermo il 5/09/1913 e morta a Roma il 4/11/2015, era figlia del Principe Enrico Alliata di Villafranca, Duca di Salaparuta, ed aveva sposato Fosco Maraini, (Firenze, 15 novembre 1912Firenze, 8 giugno 2004) etnologo, orientalista, alpinista, fotografo, scrittore e poeta italiano
                                                                   
                                                              

   Dalla loro unione nacquero tre figlie. Una delle quali è Dacia Maraini, scrittrice di grande successo e di livello internazionale.
    Con il marito, lettore di lingua italiana in Giappone, si reca in quella Nazione, dapprima nel Hokkaidō, a Sapporo, e poi nel Kansai e a Kyōto. L'8 settembre 1943, mentre si trovavano a Tokyo, rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò e furono internati in un campo di concentramento a Nagoya con tutta la sua famiglia. Durante la prigionia Fosco Maraini compì un gesto d'alto significato simbolico per la cultura giapponese: alla presenza dei comandanti del campo di concentramento si tagliò l'ultima falange del mignolo della mano sinistra con una scure. Non ottenne la libertà, ma una capretta e un orticello permisero alla famiglia Maraini di sopravvivere. Finita la guerra tornò in Italia, per poi ripartire verso nuove mete quali il Tibet, Gerusalemme, il Giappone e la Corea.
    Visitata la Chiesa del Gesù, nota anche come Casa Professa, una delle più importanti chiese barocche di Palermo e dell'intera Sicilia (L'aggregato monumentale della Compagnia di Gesù è ubicato nel centro storico di Palermo nel mandamento di Palazzo Reale o Albergaria), ci si è recati a visitare la Cattedrale metropolitana primaziale della Santa Vergine Maria Assunta, nota semplicemente come cattedrale di Palermo, principale luogo di culto cattolico della città di Palermo e sede vescovile dell'omonima arcidiocesi metropolitana.
   Dal 3 luglio 2015 fa parte del Patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito dell'Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale".
    In questa cattedrale, sintesi di storia e di arte dell'ultimo millennio in Sicilia, oltre ai sovrani normanni (Ruggero II di Sicilia, Guglielmo II d'Altavilla e Giovanna Plantageneto (13 febbraio 1177)), svevi, aragonesi (Alfonso il Magnanimo dei Trastámara), catalani, sono stati incoronati Vittorio Amedeo II di Savoia e Carlo III di Borbone.
    Inoltre sono conservati i resti di diversi sovrani che hanno regnato in Sicilia tra i quali Enrico VI di Svevia, Ruggero II di Sicilia, Costanza d'Altavilla, Costanza d'Aragona, Federico II di Svevia. In tempi recenti sono state trasferite anche le spoglie del Beato Pino Puglisi (Palermo, 15 settembre 1937Palermo, 15 settembre 1993), ucciso da Cosa nostra il giorno del suo 56º compleanno a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale.
                                                          
                                                                      

    Al finire della giornata ci si è immersi in un mondo cultural-popolare rappresentato dal Mercato di Ballarò, dove si è potuta ammirare la multietnicità ed i colori del mercato popolare, con la mercanzia esposta sui banconi sfolgoranti di luce e le “abbanniate” (grida) dei vari venditori (pescivendoli, macellai, fruttivendoli, ecc.) che magnificano la bellezza e la bontà della merce esposta da vendere.
                                                                         
     
26/11/2016
La lontananza dai luoghi natali non ti fa dimenticare quella parte di te ancorata agli odori, ai colori, agli affetti che ti hanno accompagnato per mano fin da piccolo.
E, pertanto, ci siamo concessi un giorno di pausa al fine di consentirmi una doverosa visita ai familiari più intimi per un fugace saluto ed un veloce scambio di notizie sul tempo che passa e sulle trasformazioni che il naturale evolversi del mondo che gira consente.
L'emozione ti pervade sempre nel rivedere il verde degli alberi, anche se stare lontano per tanto tempo ti fa notare il mutamento del territorio, o l'approccio diverso delle persone che ti vedono dopo anni e che faticano anche a riconoscerti perchè il loro quotidiano non è più il tuo ed allora basta solo un saluto veloce o un “come stai” detto di sfuggita. Quasi lo staccare un cordone ombelicale per un mondo che non ti appartiene più, ma che, comunque, resta sempre tuo.
Bisogna saper relativizzare i momenti, accettare le nuove diversità, essere coscienti che il cambiamento è stato voluto per consentire un futuro diverso alla tua famiglia.
Il tramonto chiude una giornata emozionante, ma intensa. Domani si riprende con una escursione diversa tra la storia e la memoria.
27/09/2016
Visita a Piana degli Albanesi e dintorni.
Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, fino al 1941 Piana dei greci, è una delle più note delle colonie greco-albanesi della Sicilia e popolose comunità storiche arbëreshë.
Inoltre fu
sede vescovile dell’Eparchia bizantina. Questa cittadina si estende su un altopiano montuoso, con accanto un bel lago e sul versante orientale il maestoso Monte Pizzuta. Un paesaggio davvero mozzafiato, delimitato da bellezze incomparabili. Nel corso degli anni questo centro ha sempre ricoperto ruoli attivi per la tutela e la conservazione degli usi e dei costumi albanesi, lasciando inalterate le peculiarità etniche, linguistiche, culturali e religiose.
Per ciò che concerne le origini del nome sul Dizionario Topografico della Sicilia troviamo Plana Graecorum (Piana dei Greci), detta anche Piana dell’Arcivescovo. È il 30 agosto del 1941 che entra in vigore il nome Piana degli Albanesi.

Storia di Piana degli Albanesi.
La fondazione della Piana degli Albanesi risale alla seconda metà del XV secolo allorché un gruppo di esuli greco – albanesi cercò rifugio in Italia.
Con la caduta dell’
Impero Bizantino il fenomeno si intensificò, negli anni dal 1482 al 1485.
Questa forte immigrazione fu favorita dalla Repubblica di Venezia che la vedeva come un modo per ripopolare centri disabitati o colpiti da carestie.
Gente nomade che si spostava da un posto all’altro della Sicilia e che trovò questo luogo nei territori amministrati dalla
Mensa Arcivescovile di Monreale.
Negli anni successivi fu chiesto al cardinale Juan Borgia il diritto di soggiornare sulle terre Mercu e Aydingli, situate nell’entroterra montuoso presso la pianura della Fusha. Questo posto, vicino alle principali città, era fertile e ricco. Il 30 agosto 1488 si sanciva la creazione del più grande polo albanese dell’isola siciliana alla quale seguiva la costruzione delle chiese di rito greco – bizantino.
La cattedrale di Piana degli Albanesi è dedicata a San Demetrio Megalomartire di Tessalonica (kryeklisha e Shën Mitrit i Madhi Dëshmor in arbëresh), anche nota come Klisha e Shën Mitrit, ed è la principale chiesa elevata alla dignità di cattedrale di Piana degli Albanesi e dell'eparchia di Piana degli Albanesi, circoscrizione della Chiesa Italo-Albanese in Sicilia.
La cattedrale è l'edificio di culto più grande e importante dell'eparchia, dove ha luogo il primo patrono della città e della diocesi. Sede delle principali manifestazioni del culto di rito bizantino e delle solenni funzioni in occasione delle celebrazioni dell'eparca - come per i riti dell'Epifania (Ujët të pagëzuam), della Grande e Santa Settimana (Java e Madhe) e quindi della Pasqua (Pashkët), del Natale (Krishtlindjet), etc., ed è il luogo della consacrazione e proclamazione del vescovo degli albanesi di rito orientale dell'Italia insulare.
Collocata nella principale strada di Piana degli Albanesi, corso Kastriota, la cattedrale fu sede dal 1784 del vescovo ordinante di rito bizantino-greco per gli Albanesi di Sicilia, e fino al 18 luglio 1924, in Piana degli Albanesi, era la sola parrocchia con un Collegio di quattro papàs.
Con grande partecipazione si è assistito alla Messa in rito bizantino ed in lingua albanese con l'eccezione della lettura del Vangelo e dell'omelia in lingua italiana, probabilmente un atto di omaggio a chi non è di Piana e, quindi, impossibilitato a comprendere la lingua albanese.
                                                                  
Alla fine della Messa si è visitato il Museo Civico Nicola Barbato ubicato nei pressi della Cattedrale e molto interessante per il materiale esposto che segna la storia di Piana degli Albanesi e dei suoi abitanti.
Il Museo nasce come Mostra Permanente sulla Cultura Materiale nel 1989, dopo un accurato lavoro di ricerca e documentazione realizzato dai giovani impegnati nei progetti di pubblica utilità (ex art. 23). La Mostra si è nel tempo ulteriormente arricchita con riproduzioni in scala dei ruderi di vecchi mulini ad acqua, delle masserie esistenti nel territorio e delle Chiese di Piana degli Albanesi. Con delibera n. 107/94 viene istituito il museo civico «Nicola Barbato» ed approvato il relativo statuto.
L'attuale sede del museo, inaugurata nella primavera del 2002, è ubicata in via Padre G. Guzzetta nei pressi della piazza V. Emanuele. L'immobile che anticamente ospitava l'Oratorio San Filippo Neri (Ritiri) si articola su due piani: al piano terra la Reception e due sale utilizzate per le mostre temporanee; al primo piano nove sale espositive ospitano le collezioni permanenti suddivise in cinque sezioni: Etnografica, Storica, Libraria, Naturalistica, e sezione degli Abiti tradizionali. Particolarmente interessante è l’esposizione degli abiti tradizionali femminili, interamente ricamati in oro su seta, e dei gioielli, tipici esempi di oreficeria siciliana del ‘600 e '700. Tutto il materiale, inventariato e catalogato, è stato esposto secondo le indicazioni della moderna tecnica museale, grazie anche alla collaborazione della competente sezione etnoantropologica della Soprintendenza. Le attività museali sono andate nella direzione della promozione culturale mediante la realizzazione di diverse mostre (pittura, scultura, ricamo, beni ambientali, fotografia, storia ecc..) nel tentativo di svolgere ed attuare i compiti di carattere divulgativo e didattico.
Interessante questo Museo che ci aiuta a capire le tradizioni di Piana, con un particolare riferimento alle attività agricole ed artigianali della cittadinanza. Gli attrezzi agricoli testimoniano l'attività contadina di un tempo, mentre i manufatti domestici servono a descrivere quella che era la vita domestica negli anni non ancora tecnologici.
                                                                     
                                                                  
                                                                       


Si ritiene opportuno sottolineare la competenza e la passione dimostrata dagli addetti al Museo. La Sig.ra Giusy Terranova è stata una guida appassionata e competente e ci ha guidati, attraverso un'ampia spiegazione, nel mondo culturale di Piana, partendo dalle origini della Comunità e dalle motivazioni che hanno spinto intere famiglie a trasferirsi da un paese allora dominato da invasori ad una terra che li ha accolti assicurando loro la sopravvivenza. E la storia si ripete ancora oggi con altri popoli che fuggono dalle guerre, dalla fame, dalle violenze.
Da sottolineare, comunque, la tenacia di un popolo che, nei secoli, ha conservato la cultura, le tradizioni e la lingua di origine trasmessa oralmente da padre in figlio, fino ai giorni nostri, ma non isolandosi, bensì integrandosi con il tessuto sociale già esistente. Un connubio che aiuta un popolo a crescere per continuo miglioramento di una Nazione. Non dimenticare mai da dove proveniamo, ma non calpestare la terra che ci ha accolto con amore ed in serenità. Una massima che tutti dovemmo rispettare: Sempre!.

Ultimata la visita a Piana con la sua ricca storia , ringraziato calorosamente la Signora Terranova per come ha contribuito a farci conoscere ancora meglio la sua Città e la Cultura che li ha guidati nei secoli, abbiamo raggiunto, per la pausa pranzo, uno splendido agriturismo dove ci si è satollati con un sontuoso cibo, concludendo il pasto con il famoso “Cannolo” di Piana degli Albanesi.

                                                                   

                                                         
Nel nostro cammino è doveroso visitare dei luoghi che, per i fatti accaduti, rimangono indelebilmente impressi nella nostra memoria.
Un popolo che dimentica non ha diritto di chiamarsi popolo, perchè il ricordo deve aiutarci a migliorare e ad evitare gli errori commessi, ma molto spesso ce ne dimentichiamo.
E con questo spirito ci siamo incamminati verso un luogo che, ancora oggi, rimane vivo nella storia di questo nostro Paese: Portella della Ginestra.
Ti accoglie il silenzio, ancora vivo, nonostante che gli anni si siano accatastati l'uno sull'altro, il freddo, che sa di morte, a dispetto del sole che dovrebbe riscaldare l'anima ed il corpo, le pietre, che sanno ancora di sangue, poste a testimonianza, per non dimenticare.
Un evento criminoso che ha falciato vittime innocenti e scosso il tessuto sociale di tutto il Paese.
                                                                    
                                                                    
                                                                           
Il 1º maggio 1947, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata dal regime fascista al 21 aprile. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa). Improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici morti (nove adulti e due bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.
La strage di Portella della Ginestra fu opera della banda criminale di Salvatore Giuliano.
Nel mese successivo alla strage di Portella della Ginestra, avvennero attentati con mitra e bombe a mano contro le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando in tutto un morto e numerosi feriti: sui luoghi degli attentati vennero lasciati dei volantini firmati dal bandito Salvatore Giuliano che incitavano la popolazione a ribellarsi al comunismo.
La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”. Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare a Portella della Ginestra e a compiere gli attentati contro le sedi comuniste erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano, ex colonnello dell'E.V.I.S.. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento ad "elementi reazionari in combutta con i mafiosi".
Queste le undici vittime, così come riportate dalla pietra incisa posta sul luogo del massacro:
  1. Margherita Clesceri (minoranza albanese, 37 anni)
  2. Giorgio Cusenza (min. albanese, 42 anni)
  3. Giovanni Megna (min. albanese, 18 anni)
  4. Francesco Vicari (min. albanese, 22 anni)
  5. Vito Allotta (min. albanese, 19 anni)
  6. Serafino Lascari (min. albanese, 15 anni)
  7. Filippo Di Salvo (min. albanese, 48 anni)
  8. Giuseppe Di Maggio (13 anni)
  9. Castrense Intravaia (18 anni)
  10. Giovanni Grifò (12 anni)
  11. Vincenza La Fata (8 anni)
Rimasero gravemente ferite 27 persone. Alcuni di questi feriti morirono in seguito a causa delle ferite riportate.

Indagini e processi

Sul movente dell'eccidio furono formulate alcune ipotesi già all'indomani della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro Mario Scelba intervenne all'Assemblea Costituente, affermando che dietro all'episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere considerato un fatto circoscritto.
Il processo iniziato nel 1950, dapprima istruito a Palermo poi spostato a Viterbo per legittima suspicione, si concluse nel 1953, con la conferma della tesi che gli unici responsabili erano Giuliano (ormai ucciso il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e i suoi uomini, che furono condannati all'ergastolo. Durante il processo, il bandito Gaspare Pisciotta, oltre ad attribuirsi l'assassinio di Giuliano, lanciò pesanti accuse contro i deputati monarchici Giovanni Alliata Di Montereale, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso ed anche contro i democristiani Bernardo Mattarella e Mario Scelba, da lui accusati di aver avuto incontri con il bandito Giuliano per pianificare la strage di Portella della Ginestra: tuttavia la Corte d'Assise di Viterbo dichiarò infondate le accuse di Pisciotta poiché il bandito aveva fornito nove diverse versioni sui mandanti politici della strage.
La seconda ipotesi fu quella sostenuta da Girolamo Li Causi in sede parlamentare, dalle forze di sinistra e dalla CGIL, secondo la quale il bandito Giuliano era solo l'esecutore del massacro: i mandanti, gli agrari e i mafiosi, avevano voluto lanciare un preciso messaggio politico all'indomani della vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali.
In seguito ai riscontri emersi dal processo, diversi parlamentari socialisti e comunisti denunciarono i rapporti tra esponenti delle istituzioni, mafia e banditi.
Il Memoriale di Portella delle Ginestra è una originale sistemazione naturale-monumentale del luogo, situato nella contrada omonima di Piana degli Albanesi. La sistemazione monumentale di Portella della Ginestra è un'opera di land art (arte della terra, del territorio) di cui vi sono altri svariati esempi nel mondo. Il Memoriale è stato progettato e realizzato tra il 1979-1980 da Ettore de Conciliis, pittore e scultore, con la collaborazione del pittore Rocco Falciano e dell'architetto Giorgio Stockel.
L'opera, a carattere non effimero né ideologico, è stata immersa nella natura e nel paesaggio per evitare di chiudere la memoria della strage in un blocco architettonico o in un chiuso gruppo di figure. Andando oltre le sistemazioni monumentali concepite in modo più tradizionale, l'artista ha tentato di imprimere un gigantesco e perenne segno della memoria sul pianoro sassoso di Portella della Ginestra. Un muro a secco fiancheggiato da una tipica trazzera, per una lunghezza di circa 40 metri, taglia la terra, come una ferita, nella direzione degli spari. Tutt'intorno, per un'area di circa un chilometro quadrato, dove vi furono i caduti del 1º maggio 1947, si innalzano grandi massi in pietra locale, alti da 2 a 6 metri, cavati sul posto della pietraia. Uno di essi è il masso di Nicola Barbato, da dove il prestigioso dirigente Arbëreshë dei Fasci Siciliani dei Lavoratori era solito parlare alla sua gente. Altri figurano sinteticamente corpi, facce e forme di animali caduti. In altri due sono rispettivamente incisi i nomi dei caduti e una poesia. Essendo stata una strage che ha colpito una minoranza etno-linguistica, una nuova opera di Ettore de Conciliis prevede un altro grande masso, sempre in pietra locale, con incisa una poesia in lingua albanese.
Torniamo in Città verso sera, scossi per gli eventi di un tempo che hanno causato dolore e morte, riflettendo sull'uomo che non riesce a scrollarsi dall'ingordigia che lo pervade per il raggiungimento del potere.


28/11/2016
Ci avviamo alla chiusura della vacanza ed allora ci si immerge nel verde dell'Orto Botanico di Palermo.
L'Orto Botanico dell'Università di Palermo è una tra le più importanti istituzioni accademiche italiane. Considerato un enorme museo all'aperto, vanta oltre duecento anni di attività che gli hanno consentito anche lo studio e la diffusione, in Sicilia, in Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo, di innumerevoli specie vegetali, molte originarie delle regioni tropicali e subtropicali. La peculiarità di questo Orto è, oggi, rappresentata dalla grande ricchezza di specie ospitate che ne fanno un luogo ricchissimo di espressioni di flore diverse. Fa parte del Sistema Museale dell'Ateneo palermitano.
Dell'Orto botanico fanno parte diverse strutture tra cui l'Erbario Mediterraneo, le cui raccolte ammontano a circa 400.000 exsiccata, collezionati a partire dal XVIII secolo e provenienti per lo più dalla Sicilia e dall'intera area mediterranea. Questa collezione - in gran parte composta da briofite, alghe, funghi e specie vascolari - supporta il lavoro di un grande numero di studiosi e rappresenta uno strumento fondamentale per la ricerca nel campo della sistematica, dell'ecologia, della fitogeografia e dell'evoluzione. Questo sito fornisce l'accesso ai dati dell'Erbario e alle immagini dei singoli exsiccata. Il database online è, oggi, ancora in fase di sviluppo sebbene circa 90.000 campioni sono già consultabili online.
                                                                    
                                                                        
Ultimata la visita all'Orto botanico, con ancora i profumi emanati dall'immensa flora esistente, gli occhi colmi del verde e della maestosità delle piante, si va in giro per la Palermo storica, con il tempo che è trascorso veloce, ma con una carica in più che ci fa promettere di tornare per scoprire nuove bellezze d'arte nella Sicilia che ha saputo accogliere diversi popoli e culture, senza respingere alcuno, anzi, spesso, subendo la tracotanza dei dominatori che si sono susseguiti nei millenni.
29/11/2016
Si torna a casa (anche se tutto il mondo è la tua casa).
L'aeromobile si stacca da terra per alzarsi in volo e farci ammirare il mare Mediterraneo che circonda l'Isola del sole.
Si torna verso la quotidianità.
Ciao Sicilia. A presto.
                                                      
                                                                           Giuseppe Romano


P.S.:
Si ritiene opportuno segnalare che alcune notizie presenti in questo breve diario di bordo sono state estrapolate da alcuni siti internet presenti su Google.
Un Grazie particolare a tutti coloro che ci hanno assistito e guidato lungo le escursioni, consentendoci di arricchire le nostre modeste conoscenze.
8/12/2016